Di Rita Lazzaro
Già nel luglio del 2013 un articolo del sole 24 ore parlava di trentamila bambini strappati a mamma e papà. Si parlava di “un esercito silenzioso di 15 mila bambini” che vivono nei nuovi “orfanatrofi” chiamati con il più rassicurante nome di case famiglia nonché di altri 15mila affidati a nuovi genitori che si offrono per un periodo di occuparsi di loro. Tutti piccoli strappati dalle proprie case, dagli affetti, spesso anche da fratelli e sorelle.
Secondo l’indagine «Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine» commissionata dal ministero del Welfare all’Istituto degli Innocenti di Firenze, alla fine del 2010 in Italia c’erano 29.309 minori allontanati dalle proprie famiglie di origine. Con un aumento del 24% rispetto al 1999. Il rapporto tace sul numero delle strutture, difficilmente mappabile anche per la velocità con cui aprono e chiudono. Una stima non recente parla di 1.800 centri con alcune Regioni (Emilia Romagna, Lazio, Lombardia e Sicilia) che registrano una concentrazione di 300 strutture.
Nella ricerca del ministero le cause di allontanamento si articolano su diverse fattispecie, tra cui non ultima, la difficoltà economica delle famiglie. I dati del ministero parlano di un assegno medio mensile di 404 euro concesso alle famiglie affidatarie. E di un contributo alle comunità di 79 euro al giorno a bambino (nel caso di retta giornaliera unica). Per le rette differenziate, si va da 71 a 99 euro. Significa che ogni mese per ciascun minore lo Stato paga dai 2.130 ai 2.970 euro. Una somma con cui si potrebbero sostenere i nuclei familiari in difficoltà con il doppio vantaggio di aiutare gli adulti e tenere a casa i piccoli. E invece si predilige la soluzione più drastica: via i bambini. E’ appena il caso di ricordare che dietro un bambino portato via dalla famiglia, c’è un provvedimento del giudice.
1)Se le cose stanno così, perché non versare quei soldi alle famiglie indigenti salvaguardando così il nucleo familiare e soprattutto un diritto riconosciuto dalla Costituzione al codice civile, concludendo con la legge 184\83 ossia il diritto del “figlio di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacita’, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”. (Ex art 315 bis cc)?
A questa domanda e alle seguenti, risponderà l’avv. Francesco Miraglia.
“Secondo i dati dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, al 31 dicembre 2015 le comunità in Italia erano 3300. Nel 2016 – come riporta l’indagine del 2017 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – i minori allontanati dalle famiglie erano 26.600, il 2,7 per mille della popolazione: 14 mila in affidamento familiare, 12.600 in comunità. A tornare in famiglia è il 41,6% dei ragazzi in affido familiare, il 39% di quelli in comunità. Gli altri iniziano un percorso di adozione o altra accoglienza, pochi un percorso di autonomia.
Sul fronte economico, la Legge 149 del 2001 stabilisce che Stato, regioni, enti locali intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria, nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci. “La materia sociale è di titolarità esclusiva delle regioni e i contributi spettano ai comuni: abbiamo dimostrato che le rette delle comunità spesso sono inferiori al giusto prezzo dell’accoglienza. La retta equa dovrebbe essere tra i 100 e i 120 euro al giorno a minore, mentre oggi ammonta a 70-110 euro: a Milano ad esempio è di 90 euro. Le comunità familiari percepiscono 60-80 euro, le famiglie affidatarie volontarie hanno un rimborso spese dai comuni tra i 200 e i 550 euro al mese. Voglio sottolineare, tuttavia, che ad oggi non abbiamo dati certi sia sulla spesa sia sui minori allentamenti nonché sul numero delle strutture presenti sul territorio.
Il problema non si risolve con il solo controllo sulle strutture, ma nell’evitare quel meccanismo perverso per cui queste diventino centri di distribuzioni di bambini che mai avrebbero dovuto essere allontanati dalle proprie famiglie . Ieri come oggi l’attuale procedura consente al Tribunale per i Minorenni di sospendere la respondabilità genitoriale ad uno o entrambi i genitori, in forza di una semplice segnalazione di un operatore scolastico o sanitario. Un comportamento o atteggiamento equivoco da parte di un bambino, un disagio economico, può gettare una famiglia nell’inferno. Basta intravedere una difficoltà a rapportarsi con i pari, eccessiva aggressività, svogliatezza, linguaggio volgare, tutto quel che può essere interpretato come sintomo di disagio, diventa motivo che giustifica l’allentamento.
Difendere i minori è un dovere assoluto, ma l’approssimazione, lo standardizzare una procedura, il trattare i singoli casi come fossero documenti su cui apporre un timbro, significa correre il rischio di commettere errori gravi, veri atti disumani o meglio atti di malagiustizia. Gli assistenti sociali hanno la totale gestione del minore.
Il processo minorile deve essere veloce, deve rispettare i tempi dei bambini, non può andare avanti per anni senza alcuna possibilità di contraddittorio e difesa dalle accuse che hanno determinato il provvedimento. Non vengono accolte prove sull’innocenza, non vengono sentiti testimoni: valgono esclusivamente le insindacabili relazioni degli assistenti sociali e le perizie dei consulenti, in linea con le aspettative del magistrato.
I controlli amministrativi sulle strutture predette sono del tutto inattendibili. Molte sono gestite da religiosi, molte altre da laici. In effetti, la connivenza del sistema giurisdizionale ed amministrativo minorile, soprattutto da parte dell’ ‘Opus Dei’, si attua non soltanto attraverso la gestione di istituti, ma anche e primariamente mediante la connivenza della magistratura, soprattutto quella minorile, delle istituzioni di controllo sul sistema della giustizia, con particolare riguardo al C.S.M., nonché dell’amministrazione e del parastato”.
Questi erano i dati del 2013. Ma come stanno adesso le cose? Sono forse migliorate o degenerate? Secondo le statistiche del 2019 i minori strappati alle famiglie con accuse di violenze mai commesse restano incerte e poco diffuse.
Dai dati ufficiali, c’è chi parla di 500mila casi. L’ex ministro della Giustizia Bonafede ha riferito che i bambini allontanati dalle proprie famiglie sono stati 12.338 nel periodo Gennaio 2018 – Giugno 2019.Complessivamente, si parla di oltre 160 mila minori in venti anni. Una piaga che quindi continua a non arrestarsi, anzi sembra degenerare. Una situazione che però sembra vedere uno spiraglio soprattutto dal discorso del Premier Giorgia Meloni che è stata chiara a riguardo: “Abbiamo assunto l’impegno di limitare l’eccesso di discrezionalità nella giustizia minorile, con procedure di affidamento e di adozione garantite e oggettive, perché non ci siano mai più casi Bibbiano, e intendiamo portarlo a termine”. Da un lato quindi si ha una piaga umana e sociale che continua a non arrestarsi, dall’altro un governo che dichiara guerra a questo scempio.
2)Stando così le cose. Lei, avvocato, cosa spera in questo esecutivo? Precisamente quali interventi spera che adotti sul piano giuridico e che, magari, andranno a incidere anche su quello socio culturale?
“Per natura, sono ottimista, mi è piaciuto molto il riferimento del Presidente Meloni, nel suo discorso d’insediamento, a Bibbiano ed al problema della giustizia minorile nel suo complesso. Mi preme, però, sottolineare che i bambini non hanno colori e non devono assolutamente essere strumentalizzate le vicende come Bibbiano. Bibbiano è in tutta Italia, sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. Approfitto, modestamente, per dare un consiglio al Presidente Meloni: vada oltre le famigerate commissioni di inchiesta.
Per capire le dinamiche degli allontanamenti, i conflitti dei giudici onorari, la connivenza dei consulenti tecnici allineati alle aspettative dei giudici, la gestione delle strutture, dovrà ascoltare la povera gente che vive il dramma dell’allontanamento dei figli e dello strapotere dei servizi sociali con il benestare dei Tribunali”.
A proposito del presidente del consiglio, questi nel parlare di legalità e giustizia ha altresì focalizzato l’immigrazione:
“Sicurezza e legalità, certo, riguardano anche una corretta gestione dei flussi migratori. Secondo un principio semplice: in Italia, come in qualsiasi altro Stato serio, non si entra illegalmente, si entra solo attraverso i decreti flussi.nIn questi anni di terribile incapacità nel trovare le giuste soluzioni alle diverse crisi migratorie, troppi uomini e donne, e bambini, hanno trovato la morte in mare nel tentativo di arrivare in Italia. Troppe volte abbiamo detto “mai più”, per poi doverlo ripetere ancora e ancora. Non intendiamo in alcun modo mettere in discussione il diritto d’asilo per chi fugge da guerre e persecuzioni. Il nostro obiettivo è impedire che sull’immigrazione l’Italia continui a farsi fare la selezione in ingresso dagli scafisti”.
Ma le madri migranti non perdono i figli solo nel Mediterraneo bensi’ anche una volta giunte a destinazione. Infatti la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha condannato l’Italia perché troppo di frequente i tribunali della nostra nazione tolgono i figli a donne migranti ingiustamente. Non per nulla è difficile che vengano svolti completamente regolari controlli. O iter specifici per stabilire i motivi per i quali gli assistenti sociali devono portare i bambini via dai genitori. E’ contro questo che si è scagliata la Corte Europea. Non si può interrompere la frequentazione della madre con i figli a meno che non ci siano abusi o pericolo per i minori.
Tanti i bambini portati via dai genitori ingiustamente, strappati alle mamme, spesso nigeriane, e poi adottati da alcune famiglie italiane. In questo modo, da una parte ci sono famiglie adottive. Dall’altra, però, c’è la madre che lotta per richiedere la potestà genitoriale. Un dramma familiare nel dramma che palesa la vergognosa piaga che, sicuramente, non fa onore a uno stato di diritto dove la tutela della maternità e dell’infanzia sono costituzionalmente riconosciute. Di conseguenza la domanda che verrebbe da chiedersi è la seguente: Perché nonostante i movimenti femministi, le carte in difesa dei diritti di madri e minori, si verifica questo scempio? Ma soprattutto in che modo porvi fine?
“Il problema dell’allontanamento dei minori in Italia, purtroppo, è un problema che non riguarda solo le famiglie italiane ma anche le famiglie straniere e gli immigrati che arrivano in Italia. La mia riflessione sugli allontanamenti riferiti alle famiglie straniere o immigrate non è certamente e non vuole essere una riflessione politica. Come ho già detto più volte, i bambini non hanno colore ma in Italia abbiamo un problema serio riferito alla giustizia minorile in primis e agli allontanamenti in secondo luogo. La Corte Europea, non più tardi di qualche mese fa, ha condannato per l’ennesima volta lo stato Italiano perché il Tribunale locale ha basato la dichiarazione dello stato di adottabilità solo ed esclusivamente sulle relazioni dei servizi sociali. In altre parole ha ribadito ancora una volta lo strapotere dei servizi sociali all’interno delle dinamiche di giustizia minorile. Tutto questo è assurdo in un paese di diritto quale il nostro”.
A proposito di madri immigrate, nel 2014 si parlava degli orfani bianchi vittime del care drain, rimasti soli in patria con le mamme all’estero a prendersi cura dei figli (o dei nonni) di qualcuno altro. Tra loro, nella sola Romania, una quarantina si è suicidato, proprio a causa della lontananza dalla madre. I dati ufficiali parlavano di 30 casi dal 2008 al 2014, ma secondo le associazioni erano molti di più. L’allarme era stato lanciato dal deputato Pd Khalid Chaouki, durante un convegno organizzato in collaborazione con l’Associazione delle donne romene in Italia (Adri) e la ong Soleterre. Sono circa 750 mila bambini in Romania che hanno almeno un genitore che lavora all’estero e moltissimi di essi sono piccolissimi, fra i 2 ed i 6 anni. Una mancanza che può portare conseguenze devastanti come addirittura il suicidio del figli. Una situazione vista anche di recente nel conflitto russo-ucraina dove a maggio si contavano oltre 40mila minori arrivati dall’Ucraina, secondo le stime del prefetto, 4660 minori non accompagnati e registrati nella banca dati del ministero del Lavoro. Di questi ultimi, oltre 3mila sono affidati alle famiglie e piu’ di 840 sono ospitati in istituti”.
4) Cosa fare coi minori che, di punto in bianco, si ritrovano strappati da una o addirittura entrambe le figure genitoriali? Cosa fare affinché subiscano il minor trauma possibile? Ma soprattutto come curare queste ferite anche e soprattutto con interventi di natura politica?
“Sicuramente a questa domanda è complicato dare una risposta in maniera assoluta. Molti casi potrebbero essere risolti all’origine con una precisa politica di sostegno e di tutela alla famiglia garantendo le norme del giusto processo del diritto al contraddittorio e diritto alla difesa nei Tribunali, garantendo ancora l’oggettività nelle relazioni dei servizi sociali che spesso non solo determinano l’apertura di un procedimento ma addirittura lo condizionano tanto da determinare lo stato di adottabilità. Come porre rimedio? In primis facendo in modo che gli assistenti sociali che hanno fatto la segnalazione, non siano gli stessi che successivamente seguono il caso. Fare in modo che gli stessi assistenti sociali non rispondano a proprie ideologie ma che si limitino a riportare in modo oggettivo le dinamiche famigliari, le condizioni dei minori. Bisognerebbe prevedere delle figure nuove con delle capacità di polizia giudiziaria affinché possano fare le indagini ed essere direttamente alle dipendenze della procura minorile. Limitare ancora il conflitto di interessi tra i giudici onorari e le loro professioni private. Basti pensare ai tanti casi in cui questo o quel giudice onorario risulta responsabile di questa o quella casa famiglia, risulta presidente di questa o quell’associazione. Giudici onorari alla stregua di giudici togati devono garantire competenza, professionalità ed imparzialità. Certo che quello che ho appena detto non è da considerarsi una soluzione definitiva ma solo un punto di partenza.
Come cittadino prima di tutto e come professionista dopo, ho apprezzato molto il riferimento ai minori da parte del Presidente del Consiglio, ma come in tutte le cose le parole contano poco rispetto ai fatti e prima di giudicare il nuovo governo, bisogna aspettare di vedere se effettivamente il presidente del consiglio ha il coraggio di: mappare le case famiglia nel territorio italiano, fare in modo che le strutture rendicontino i loro bilanci, garantire le norme processuali all’interno del processo minorile, fare in modo che lo strapotere dei servizi sociali venga ricondotto nel giusto binario delle competenze. Non per ultimo prendo a prestito uno slogan inventato da una stimatissima professoressa a cui mi lega una forte amicizia che dice “Aiutiamoli a casa loro”.
Per quanto riguarda le vittime del care drain, non sono in grado di fare riferimento alla situazione rumena, sicuramente però conosco bene la situazione delle famiglie ecuadoriane, in quanto per 4 anni sono stato consulente dello stato dell’Ecuador a tutela delle stesse famiglie e anche della realtà delle famiglie senegalesi residenti in Italia. Da Maggio, attraverso il mio ultimo libro “L’Avvocato dei Bambini” edito da Armando Editore nel 2021, ho intrapreso un viaggio itinerante tra le stesse comunità in Italia per informare i cittadini dei loro diritti, del ruolo dei servizi sociali e della funzione del Tribunale per i Minorenni. Molte madri, nello specifico senegalesi ed ecuadoriane vanno a lavorare, soprattutto d’estate, lasciando i bambini da soli in casa o alle cure del figlio più grande, determinando anche nei casi meno gravi l’intervento dei servizi sociali; addirittura provvedimenti autoritativi della sospensione o decadenza della responsabilità genitoriale e spesso e volentieri, infine, l’allontanamento. Anche in questo caso penso che ci sia un errore di fondo soprattutto perché viene completamente tralasciata la cultura di provenienza di queste persone limitandosi a giudicarle e non a considerarle. Se vogliamo parlare di integrazione, considerare le culture prima di tutto delle famiglie straniere, potrebbe essere un punto di partenza”.
Legalità e integrazione: un connubio micidiale per le ingiustizie e quindi ottimo per tutelare minori e famiglie.