Vittime dello sport: omertà su Ginevra Parrini

Di Rita Lazzaro

Lo sport a livello agonistico non sempre produce benefici, bensi’ comporta abnegazione ed una massiccia dose di sofferenza: Matteo Colnago, sportivo poliedrico e autore dell’ “Atleta combattente” svela questi retroscena decisamente antitetici alla narrativa promossa sullo sport. Nel suo libro Colnago parla di “Stravolgere la propria vita, autoimporsi di amare la sofferenza fisica e mentale che l’attività fisica richiede in tutta la sua completezza non è affatto semplice, richiede un’abbondante dose di disciplina autoindotta e la volontà di agire su se stessi per risanare corpo e mente.”

A proposito di disciplina, a novembre si è venuti a conoscenza di una notizia shock come quella di Ginevra Parrini oggi 23enne, entrata in Nazionale all’età di 14, ma ritrovandosi a vivere un sogno che in realtà era solo un incubo. “Iniziarono da subito a inculcarci il dogma della dieta, perché era fondamentale che il concetto ci arrivasse prima che diventassimo più grandi. Salivo sulla bilancia ogni giorno e mi ripetevano che dovevo dimagrire, che ero troppo grassa, che non avrei mai disputato le gare importanti in quelle condizioni. Ci ispezionavano le camere per vedere se nascondevamo del cibo e se lo trovavano venivamo punite con allenamenti ancora più stremanti”. In realtà Ginevra è una ragazzina magra, dalla figura possente ma affilata. Però non basta. “Al mio ingresso in Nazionale ho capito subito che la situazione era pesante. Quelle che prima erano semplici richieste si sono accentuate, fino a diventare pressanti avvertimenti. Iniziarono a dirmi che se non dimagrivo, se mi ostinavo a mangiare ed anche a bere, non avevo rispetto per la mia famiglia e per il Paese che rappresentavo. Che ero un’ingrata. Questo concetto ce lo ribadivano spesso, a tutte. Il divertimento con gli amici era proibito. Dovevi soltanto allenarti, per 9 lunghissime ore al giorno: era la mia passione e lo facevo, ma qualcosa cominciava a pesarmi. Ricordo che prima degli Europei la nostra cena consisteva in una mela. Facevamo di tutto per rientrare nei canoni imposti: il senso di colpa è una manipolazione psicologica potente su una ragazzina”. Uno stile di vita disumano sia a livello fisico che mentale; infatti, le conseguenze non tardano ad arrivare. Il corpo di Ginevra, come quello di molte sue giovani colleghe, fluttua costantemente di peso. Le ricadute in termini di salute fisica e mentale sono un macigno che preme ancora oggi. “Ad un certo punto iniziarono a pesarci anche quattro volte al giorno. Io restavo a digiuno per lunghi periodi, perdevo anche 10 kg di fila e poi riprendevo peso in pochissimo tempo. Il corpo, destabilizzato, non rispondeva più a dovere. Il ciclo si interrompeva. Gli svenimenti si moltiplicavano”.

“D’un tratto cominciai ad avere terrore di mettere piede in palestra. Mi avevano influenzato a tal punto che non volevo più mangiare nemmeno a casa: pensavo di essere irriconoscente verso tutti, se addentavo qualcosa. Questi problemi alimentari me li porto dietro ancora oggi, insieme a quelli fisici. Ho cinque protusioni discali, ma loro al tempo facevano spallucce. Un giorno caddi sulla schiena durante un esercizio e non riuscivo più a rialzarmi. Mi sollevarono di peso dicendomi di camminare. Dovevo andare al pronto soccorso, ma negavano il problema. Mi feci le lastre e gliele stampai davanti, ma mi dissero che parlavo a sproposito, che tutte le atlete professioniste c’erano passate. In squadra c’era anche un fisioterapista, ma era interdetto alle ragazze più giovani: visitava solo le più mature”.

L’accusa, è chiaro, non è rivolta alla disciplina in sé, ma all’interpretazione che ne viene data. “Le mie società di origine mi hanno dato tanto e le ringrazierò sempre: con loro ho appreso una disciplina e una determinazione fuori dal senso comune. Impari il sacrificio, ti misuri con sfide enormi. Tutte cose che nella vita ti torneranno utili. Per questo consiglierei la ginnastica ritmica a chiunque: il problema è nato in nazionale, penso che sia lì che l’approccio debba mutare radicalmente. Nella migliore delle ipotesi hai davanti vent’anni di carriera: non puoi barattarli con una vita di privazioni e traumi destinati ad accompagnarti per sempre”. Oggi Ginevra si sta gradualmente riprendendo. Ha lasciato quel mondo anni fa: dopo quella brutta caduta ha tentato di tornare, ma il dolore continua a tornare. Adesso lavora nel segmento del Wellness, ha al suo attivo una partecipazione a Miss Italia ed anche ad un programma tv.

Colnago a tal proposito si e’ prestato a rispondere alle domande di Rita Lazzaro per Adfnews.it, quotidiano nazionale.

1)Una testimonianza che sa dell’inverosimile, lei che ha fatto dello sport ormai il suo modus vivendi, cosa ne pensa? Tutto questa disumanità si sarebbe potuta o meglio dovuta prevenire e in che modo?

“Attualmente, nello sport, si è annidata l’ossessione patologica dei record e quella strana malattia compulsiva della sfida dei limiti come doping per compensare carenze interiori fagocitandone l’Io ipertrofico. Sfidare un limite di per sé non è un atto dispregiativo per la vita, è un processo naturale in quanto l’uomo nasce dedito all’esplorazione, non solo di ciò che ha attorno ma per soprattutto di se stesso, ma può diventare qualcosa di sterilizzante se il fine è incentivato dalla mania di perfezione. Le opere d’arte suscitano sentimento grazie ai colori, ai lineamenti ed alle forme che essere mostrano ai nostri occhi ma la loro completezza incarna l’anima dell’artista. L’opera rileva il fuoco interiore del maestro così come un’atleta conserva nel suo DNA sportivo le gli apprendimenti del suo coach.

Se parliamo di opere d’arte per quale motivo accadono vicende come quella di Ginevra Parrini? Le opere d’arte per quanto soavi e lucenti rappresentano il bello soggettivo ovvero la perfezione idealizzata nell’Uomo. Ma l’Uomo a sua volta si differenzia dalle opere d’arte proprio perché è unico nella sua imperfettibilità ed ecco che, chi non riesce a connettersi ed accettare la vera bellezza della natura umana ovvero il potersi esprimere con autenticità ed originalità a seconda delle proprie attitudini, incede verso istinti maniacali. La differenza sostanziale risiede nella capacità di elevare senza manipolare, il mentore è il vento che arriva dal cielo e sparge al suolo i semi pregni d’ispirazione, passione e sentimento. Da un terreno fertile germoglieranno i fiori, per poi dar vita a boccioli di colorata fantasia, dove i petali plasmati dall’inventiva del vento e circondati da una brezza renderanno autentico ogni singolo elemento. Fantasia, dinamicità, inventiva ed autenticità sono elementi che devono contraddistinguere il dono più grande e profondo che un allenatore può offrire al proprio allievo. L’allenatore plagia l’atleta quando in lui il vento tace e il deserto cresce perché proietta i suoi insuccessi e le sue frustrazioni nella sua opera d’arte così da renderla monocolore anziché ricca di sfumature”.

2) In che modo vive lo sport? Quanto e come l’ha aiutata e tuttora la aiuta nella vita?

“Una delle peggiori infezioni della modernità consiste nell’avere convinto la gioventù che il sacro non può essere creato, i musei servono a questo, a confinare il sacro in luoghi in quarantena. Lo sport invece fa irruzione dove lo spirito atletico si manifesta, dove l’uomo vuole trovare un momento di verità. Vivo lo sport come un Mondo che va ascoltato in silenzio, una luce abbagliante ma intravista anche solo per un attimo. Il mio sport è il furor degli arditi della Prima guerra mondiale, che nella loro disarmante lucidità anteponevano la pazzia dell’audace alla mediocrità del borghese. Lo sport nell” atleta combattente” è l’eterno mistero che lega il dolore alla gioia. Lo spirito che spinse Diaz a raccontare dei giovanissimi arditi “li ho visti ai ragazzi del ’99. Li ho visti tornare in esigue schiere. Cantavano ancora.” Cantare, dunque, anche nel dolore. Ecco il messaggio de l’ “atleta combattente”. Non resistere al dolore, ma cantare nel dolore. L’Atleta combattente è un granello di sabbia che può diventare un impero. Perché se l’etica del ’68 ci ha insegnato a dire “vorrei” abbassando la testa, dobbiamo ritrovare il gusto di obbedire ad istinti primordiali e passioni antropologiche anteponendo il “vorrei” al “voglio”. Poniamoci degli obbiettivi perché le conquiste su noi stessi incarnano lo spirito dello “ius bellum” il diritto alla guerra, proprio il contrario del “vorrei”, il diritto di non desiderare. Alziamo la testa”.

3) Da sportivo cosa consiglia a chi vive di sport?

“Un giorno ero in palestra a pugilato, mi avvicino ad un ragazzo che da poco aveva iniziato a seguire gli allenamenti, lo guardo chiedendogli: “Ma tu che vuoi fare..vuoi combattere, vuoi allenarti…perché sei qui?. Lui rimase in silenzio per qualche secondo, facendosi forza rispose “Io voglio avere quella cosa che avete voi negli occhi”. Questo è l’insegnamento più bello che potessi mai ricevere e che compierei un reato se lo tenessi per me. Perché le nostre vittorie le otterremo non tanto nel ricercare della perfezione ma nel combattimento. Il dare tutto se stessi è la vittoria della nostra anima che ci porterà al trionfo sul podio.”

“Dare tutto se stessi è la vittoria della nostra anima che ci porterà al trionfo sul podio”. Un insegnamento di cui far tesoro soprattutto in una società dove i valori sfiorano sempre più l’utopia.

Lascia il tuo commento
Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail