La societa’ fondata sul mito del neoliberismo non determina il benessere utopistico in cui il mondo e’ abboccato dalla lontana era appartenente ai favolosi anni settanta del novecento. In quel periodo la narrazione che enfatizzava il sistema finanziario tutt’ora vigente, assicurava soldi a cascata per l’intera societa’ mediante l’innovazione tecnologica sconvolgente, di tutti i settori.

Fu quindi grazie alle molteplici innovazioni dell’epoca, reso possibile distaccare la produzione industriale dal luogo fisico in se’, con la costituzione delle multinazionali e di conseguenza della globalizzazione.

La dottrina neoliberista dunque, confidava nell’esclusivo potere del mercato ai fini di un benessere collettivo conseguenza di sviluppo economico-sociale.

Il neoliberismo, sul piano dottrinale, ando’ in crisi gia’ nella seconda parte degli anni ottanta, allorche’ si realizzarono tutti i programmi e gli intenti del neoliberismo, fuorche’ quello decisivo consistente nella ridistribuzione sociale. Cosi’ gia’ a quell’epoca, oltre che a causare i primi problemi di depauperazione ambientale, il mondo si scisse in una parte molto ricca ed una molto povera; la parte esigua di popolazione mondiale aveva comprato tutto per mezzo degli investimenti pubblicitari, invece la parte povera no. Cosi’ il mondo ando’ verso una crisi dovuta alla saturazione del mercato e si penso’ di guadagnare scambiando prodotti finanziari, anziche’ prodotti industriali.

Paradigma eclatante dell’economia finanziaria risiede nel fatto che il commercio internazionale e’ pari a ventimila miliardi di dollari, mentre sui mercati finanziari ventimila miliardi di dollari si raggiungono in cinque giorni.

Oggi su cento transazioni finanziarie che avvengono nel commercio del grano, un paio si hanno da parte di produttori e acquirenti del grano, le altre dai fondi di investimento che non sanno nulla di grano ma vi speculano facendone una determinazione dei prezzi. Il pil mondiale e’ di sessantamila miliardi di dollari l’anno, le transazioni finanziarie equivalgono a dodici volte il pil mondiale; cio’ provoca delle bolle con effetti sistemici biennali anziche’ decennali come nel primo novecento. Dalla bolla in cui tutti guadagnano, sorge un circolo vizioso che corrode l’economia fisica, oltre a quella virtuale, finanziaria.

Per scongiurare le bolle con le conseguenti crisi sistemiche ed i circoli viziosi, bisognerebbe reintrodurre parte della massa economica finanziaria nell’economia reale, ma qui si pone un problema: la parte sviluppata del mondo ha comprato tutto per cui non conviene investire ulteriore denaro in pubblicita’ per persuadere la parte sviluppata del mondo a comprare cio’ di cui non ha piu’ bisogno. Bisogna dunque indurre ad acquistare i beni a quella parte di mondo economicamente diruta. Da qui l’opera mediatico-pubblicitaria massiccia, in cui i beni comuni come l’acqua, l’istruzione, la sanita’, vengono fatti percepire come non comuni; dunque con il denaro qualcuno li acquistera’ ed altri no. Ecco da dove riparte il neoliberismo, il cui intento e’ smantellare lo stato sociale ed i beni pubblici per immetterli in commercio sottoforma di privatizzazioni.

Per far accettare i siddetti sacrifici al mondo, si diffonde il panico sociale, di cui lo spread e’ una delle icone. Insomma il trucco risiede nel modo di far accettare al mondo le paghe basse, l’istruzione e la sanita’ non garantite, la democrazia offuscata dal sistema dittatorial-finanziario del neoliberismo rinnovato.

Milton Friedmann, ovvero uno dei maggiori teorici del neoliberismo diceva che il panico sociale serve a far diventare socialmente accettabili, condizioni politicamente inaccettabili.

Lo spauracchio del debito pubblico e’ una strategia per creare panico sociale in Italia, e influenzare la popolazione a condividere le mosse che vogliono una privatizzazione globale dei beni. Lo spread allora, ovvero la differenza tra i rendimenti dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi, rientra nel gioco al massacro mirato a creare panico sociale; mirato, tale gioco dello spread, a far sentire in colpa l’italiano medio per aver lavorato poco, vissuto al di sopra delle sue possibilita’, per essere andato troppo presto in pensione; complice l’informazione deviata e schizofrenica, allorche’ nelle pause pubblicitarie l’italiano medio e’ indotto a comprare i prodotti che servono a mantenere in auge il neoliberismo stesso.

Questa crisi non e’ temporanea giacche’ e’ una crisi di sistema, ma non riguarda tutti perche’ alcuni settori sociali hanno continuato a fare profitti come prima e, certe volte, piu’ di prima.

Sebbene dicano che ci sia una crescita/ripresa l’anno successivo dal 2007 senza che effettivamente succeda, si scoprono gli altarini della crisi: ovvero il sistema finanziario pensa che per superare tale crisi, debba mettere in vendita cio’ che prima non lo era, ad esempio la sanita’, lo stato sociale e l’istruzione, assieme alla sicurezza ed al nitore pubblico.

La questione del debito mondiale si fonda su una fandonia, ovvero sull’illusione della sua sostenibilita’. Il debito sul pianeta e’ di duecentomila miliardi di dollari, di cui quarantaquattromila assorbito dai debiti pubblici, il resto dai debiti delle aziende e quelli dei privati; quel che si omette e’ il fatto che duecentomila miliardi corrisponde al triplo del pil mondiale; apodittico dunque e’ il fatto che il debito mondiale non verra’ mai ripagato, tanto piu’ che i creditori paradossalmente non vogliono che sia ripagato, per tre motivi: per riscuotere gli interessi continui sul debito; per avere potere politico sul debitore; per poter disporre dei beni/asset di quel creditore.

L’Italia paga ogni anno circa novanta miliardi di interesse sul proprio debito pubblico, il quale rappresenta la terza voce di spesa come cifra, dopo sanita’ e welfare per l’Italia.

Nell’ambito della colpevolizzazione mediatica verso gli italiani che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilita’ provocando debito pubblico e spread, va chiarito un punto: fino al 1981 il debito pubblico italiano era al 58% allorche’ il paletto del debito pubblico al 60% e’ indice di economie sane. Ma il debito che ora e’ al 138% per l’Italia, fu scaturito da un atto antidemocratico e mai notificato dal parlamento, ovvero la separazione tra Banca d’Italia e ministero del tesoro. Quando questi due organi non erano indipendenti, lo stato veniva finanziato con l’intervento della Banca d’Italia, la quale acquistava ad un tasso prefissato e un po’ piu’ basso, i titoli di stato invenduti.

Dopo la dipartita tra Banca d’Italia e ministero del tesoro, pur di assicurare la vendita di tutti i titoli di stato, l’Italia fu costretta ad aumentare i rendimenti sui titoli fino al 20%. Con la pena di un raddoppio del debito pubblico e la scarsa crescita. Premettendo che il bilancio italiano si e’ chiuso sempre in attivo fuorche’ nel 2009 con la crisi mondiale che ha fatto registrare un meno uno virgola uno per cento di crescita, il mattatoio del debito che continua a crescere viene tutt’ora originato dagli interessi sul debito; e’ a causa di questi ultimi che il bilancio in attivo per l’Italia, sembra essere un passivo, siccome viene vanificato dal pagamento degli interessi sul debito, i quali generano altro debito per esser onorati.

Le castronerie pubbliche, promanate dal mainstream riguardo il pagamento del debito, vengono smontate con una mera certezza: la crescita economica per iniziare a far diminuire il debito, dovrebbe attestarsi almeno al 4% annuo, il che e’ impossibile per ora. L’unica mossa per uscire da questo pantano sarebbe dichiarare immorale il debito italiano che consiste in 2300 miliardi; oppure affermare di averlo pagato alla luce dei 3300 miliardi di interessi gia’ complessivamente pagati dall’Italia, che non hanno fatto scendere tale debito. O ancora rimarcando che gli italiani hanno pagato dagli anni novanta, settecento miliardi di euro in piu’ sottoforma di tasse, cui non sono corrisposti dei servizi. Pertanto urgerebbe analizzare il debito dal punto di vista dell’ individuare quali siano i creditori, i motivi e le finalita’ per cui sono stati contratti tali debiti. E tali finalita’ rispondono all’interesse generale? Allora vanno onorati i debiti che rispondono all’interesse generale e non quelli che rispondono a scopi privati.

Fondamentale e’ la nozione secondo cui tutti i tagli di spesa per far fronte al debito pubblico, sono stati fatti ricadere sui Comuni, i quali partecipano in misura inferiore al 10%, alla composizione del debito pubblico. Dal 2010 ad oggi i Comuni hanno aumentato le imposte locali di circa otto miliardi e perso risorse statali per circa sei miliardi. Il che e’ paradigmatico dell’azione dello Stato, che attinge dalle risorse comunali, per ripagare il debito pubblico.

Il debito pubblico e’ detenuto solo per il 6% dalle famiglie, il resto di esso e’ in mano a compagnie di assicurazioni, fondi di investimento e enti analoghi, che hanno perpetrato loro stessi tale debito; ragion per cui le famiglie non devono accollarsi altre spese non da esse contratte, relativamente al debito ed alla pressione fiscale italiane.

Annullare o diminuire i debiti non appartiene alla fantasia o volonta’ di un velleitario comunista, bensi’ la storia e’ strapiena di annullamenti o recisioni di debiti. Il primo annullamento risale al 2400 a.C. Allora il regno di Hammurabi annullo’ senza pagarlo, il debito per cinque volte in quindici anni. Ultima a farlo la Germania, la cui sua ultima rata di debito contratto nella seconda Guerra Mondiale, l’ha estinta tre anni fa. Era un debito di guerra, questo tedesco, che arrivava al 538% del pil ergo impossibile da pagare. La Germania l’ha avuto ridotto ad un quarto nella conferenza atlantica, per mezzo della necessita’ di ricostruire l’Europa e rintuzzare il comunismo sovietico ad est.

Il forum italiano per la nuova finanza pubblica e sociale, e’ un’associazione sorta nel 2013 con il professor Bersani Marco. La constatazione da cui parte il professore, inerisce il fatto che in Italia tutto il sistema finanziario e’ privato, per cui non esiste finanza pubblica. In Germania il la meta’ degli istititi sono pubblici, in Francia poco meno.

L’associazione di Bersani si propone di cambiare i criteri d debito pubblico e socializzare la Cassa depositi e prestiti, ovvero l’ente ultimo, che in Italia raccoglie i risparmi postali. E si parte dall’assunto, in questo ambito, che le banche italiane non faranno mai scelte di pubblica utilita’ a causa della loro focalizzazione sui fini privati; se il fine sociale non corrisponde a quello privato, le banche italiane non sono tenute piu’ ad investire. Il problema odierno e’ che la Cassa depositi e’ stata privatizzata nel 2003 e va rinazionalizzata o socializzata; infine cambiare modello economico sarebbe cruciale, focalizzandolo sulla autoproduzione e condivisione dell’energia, possibile oggi con le tecnologie; questo per evitare una concentrazione di potere nella mani di coloro che detengono i mezzi di produzione; infine va smontata la globalizzazione delle produzioni tornando a produrre nei luoghi di origine e di domanda dei servizi; ancora necessario e’ riconvertire il sistema produttivo in chiave ecologista e operare scelte politiche ed economiche a lungo termine, pensando alle prossime 25 generazioni. Anziche’ quindi essere comandati dagli umori quotidiani delle Borse finanziarie, bisogna agire con lungimiranza per evitare il default prima che finanziario, umano.

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