Si tratta di un folto gruppo di ristoratori da mensa e servizi di accoglienza relativi al pranzo soprattutto, che accomunano esercenti gastronomici di Roma e del Lazio, i quali hanno annunciato la loro riapertura completa dal 6 di aprile. Reazione congiunta avversa ai provvedimenti governativi, come dichiarato dal portavoce di suddetti ristoratori, che vedrà le loro attività aperte sia per pranzo che cena, in modo da sopravvivere. Sulla scia di Napoli e anche di alcune cittadine settentrionali, alla luce dei dati raccapriccianti che sciorinano una Roma obsoleta e morente, anche i piccoli imprenditori laziali faranno disobbedienza civile.  Gli afferenti a tale categoria di impresa lamentano la scarsità di ausili economici dello stato ma anche l’assenza di prospettive per il rilancio postpandemico delle loro attività da parte del governo. E così gli imprenditori cooperano per una questione di sopravvivenza o autoconservazione che dir si voglia, alla luce dei costi delle imprese verso i proprietari delle app di delivery ammontanti al 30% del prezzo sull’ordine. Se a ciò si aggiunge che i sussidi statali per l’immobilismo obbligato dal Covid coprono in Italia solo il 15-35% delle perdite e l’evasione fiscale diviene sopravvivenza, la reazione delle piccole imprese appare concepibile. Tanto più che i sussidi che ricevono tutti in questa fase sono gravati da interessi sul debito pubblico che direttamente o indirettamente pagheranno le imprese ed i lavoratori di oggi e domani, tutto torna.   Infine a causa del telelavoro sempre più diffuso gli operatori delle mense per i lavoratori si vedono sempre più vuoti e, nonostante ciò, riapriranno in modo compatibile alle prescrizioni governative basate sul distanziamento, l’obbligo di mascherine, ed il non sovraffollamento.

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