Il fulcro della mentalita’ neomercantilista o neoliberista che dir si voglia, poggia su due assiomi: defenestrazione del popolo inteso come entita’ consapevole e decitrice dal punto di vista politico, e privatizzazione dei beni pubblici con la costrizione dello stato nel non effettuare aiuti economici verso coloro che non sono multinazionali troppo grandi per fallire.
Occorre un nuovo programma manageriale per rilanciare i diritti del popolo e non elidere il neomercantilismo sul piano economico, bensi’ tutelare le realta’ imprenditoriali troppo grandi per fallire non a scapito tanto meno delle eterogenee e minori realta’ imprenditoriali che ancora esistono: fermo restante il divieto di privatizzazione dei beni pubblici per un periodo superiore al lustro e per soggetti economici forestieri, e’ vitale premiare e suffragare le realta’ produttive di eccellenza in un percorso di accompagnamento verso la loro trasformazione in compagnie troppo grandi per fallire ma di proprieta’ maggioritaria di tipo statale, coniugata con una partecipazione azionaria da parte dei professionisti detentori della proprieta’ intellettuale di tale impresa, i quali possiederebbero in tal guisa un’elevatissima rendita ma non superiore a quarant’anni.
Dopo di che’ il bene tornerebbe in mani miste tra pubblico e privato, in cui il privato titolare dell’azionariato sempre non superiore a quattro decadi, avrebbe battuto la concorrenza sul piano dell’eccellenza nel concretizzare risultati utili alla crescita economica e cultural-deontologica della societa’. Con tali semplici e coerenti dettami si ovvierebbe alla tara del neoliberismo, alla demolizione della democrazia, del popolo e della cultura mondiali in atto, e sopratutto si coniugherebbero i capitali pubblici, privati, la meritocrazia, in una cornice postkeynesiana. Palese e sottinteso e’ il fatto che in una situazione analoga andrebbe limitato al solo trentacinque per cento del guadagno complessivo, il ruolo della finanza, binariamente alla sovranita’ monetaria, valutaria e fiscale in ordine ad ogni stato al mondo. Cosicche’ uno scenario di guerra arretrerebbe a mera ipotesi di spettacolo teatrale vetusto.
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