Fortnite è un videogioco di battaglia basato sulla realtà aumentata con personaggi femminili particolarmente attraenti, animali antropizzati e torneo con montepremi da un milione di dollari, al centro delle polemiche in quanto sulla stessa china di Tik Tok e social che causano dipendenza e dissociazione. Era partita nel 2019 una fronda a tale prodotto informatico, da un gruppo di genitori canadesi che avevano denunciato una «gravissima dipendenza da Fortnite» da parte dei figli. Dipendenza che si muove su due fronti. Da una parte c’è il tempo trascorso davanti allo schermo, con un ragazzino che sarebbe passato da poche ore a settimana fino a ben 7.700 ore in meno di due anni (un anno ha 8.760 ore). Dall’altra ci sono i soldi spesi e qui rischiatra la storia di un decenne che è arrivato a sborsare quasi 600 dollari. C’è poi chi, giocando, diventa aggressivo o volgare, smette di mangiare o lavarsi.
A distanza di tre anni, il giudice ha stabilito che la class action contro lo sviluppatore del gioco Epic Games e la sua sussidiaria canadese non è «frivola o manifestamente infondata» e «che c’è una questione seria da discutere, supportata da accuse sufficienti e specifiche sull’esistenza di rischi o addirittura pericoli derivanti dall’uso di Fortnite».
Adesso quindi si duellerà in aula. Su un fronte figura l’accusa che si sta muovendo in una direzione precisa: paragona i videogiochi al tabacco e alle azioni intraprese contro i colossi delle sigarette. Una posizione avallata dal giudice. «L’effetto dannoso del tabacco non è stato riconosciuto o ammesso dall’oggi al domani», ha detto. Non ha però concordato con l’affermazione dei genitori secondo cui Epic Games avrebbe creato deliberatamente dei meccanismi di dipendenza. Ciò però «non esclude la possibilità che il gioco crei effettivamente dipendenza né che i suoi ideatori e distributori lo sappiano», ha poi aggiunto.


La linea difensiva del produttore è desumibile da una dichiarazione di Epic Games riportata dalla Bbc. La società ha sottolineato di fornire «controlli parentali leader del settore che consentono ai genitori di supervisionare l’esperienza digitale dei propri figli». Ha aggiunto che «i genitori possono ricevere rapporti sul tempo di gioco che tengono traccia della quantità di tempo in cui il loro bambino gioca ogni settimana e poi richiedono il permesso dei genitori prima che vengano effettuati degli acquisti». Da ultimo, spiegano che hanno intenzione di «combattere in tribunale. Crediamo che le prove dimostreranno che questo caso è privo di fondamento». Affermano i rappresentanti dell’azienda; ciò in una fase in cui il concetto della dipendenza da prodotti digitali e da telefoni, avvince fette crescenti di utenza, la quale spazia dai giovani fino ai pensionati iperconnessi sui social. Iperconnessione che risale, aprioristicamente, a più di un lustro addietro e che ha reciso il sonno medio degòli italiani ad una media di sette ore per notte.

Senza giungere ad azioni parossistiche come il risarcimento danni collettivo che inficia le aziende e le banche in mancanza di malattie o dipartite, probabilmente la migliore difesa verso tali processi di dipendenza stratificata consiste nell’autospegnimento dei dispositivi per giochi raggiunta una certa soglia di tempo di consumo. Il che suffragherebbe i genitori, i quali con i ritmi contemporanei non dispongpono di tempo a sufficienza per seguire in modo fattivo i figli e disintossicarli dalle proprie dipendenze e manie.

Vocabolario

*Fattivo: efficace.

*Avvince: coinvolge.

*Antropizzati: con le caratteristiche degli uomini.

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