Vergogna lo Stato rema contro.
Giovanni Brusca, fedelissimo del capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina, prima di diventare un collaboratore di giustizia ammettendo, tra l’altro, il suo ruolo nella strage di Capaci, il 23 maggio del 1992, nella quale morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, e nell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. Ha lasciato oggi, dopo 25 anni come scrive L’Espresso, il penitenziario di Rebibbia, a Roma, con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della condanna. Brusca sarà sottoposto a controlli e protezione e a quattro anni di libertà vigilata, come deciso dalla Corte d’Appello di Milano. La notizia ha trovato conferma in ambienti investigativi.
Brusca, 64 anni, due anni con precisione il 19 ottobre aveva chiesto la scarcerazione ma la Cassazione disse di no. La Cassazione aveva respinto l’istanza dei legali per ottenere gli arresti domiciliari. La procura generale della Corte di Cassazione aveva chiesto, con una requisitoria scritta, ai giudici della prima sezione penale di rigettare il ricorso dell’ex boss di Cosa Nostra contro la decisione del tribunale di sorveglianza di Roma. I legali di Brusca, infatti, avevano chiamato in causa la Cassazione, perché decidesse in merito alla sentenza del tribunale che, nel marzo 2019, aveva respinto l’istanza del mafioso per la detenzione domiciliare. In 25 anni di carcere Brusca ha ottenuto oltre 80 permessi premi. La sorte ha voluto che Brusca beneficiasse proprio di una legge voluta da Giovanni Falcone, la stessa prevedeva sconti di pena proprio per i collaboratori di giustizia ritenuti attendibili. Il destino ha voluto che quel collaboratore fosse il suo carnefice. Forte indignazione da parte di tutti i famigliari delle vittime per mano della Mafia.