Milano, chiude ospedale fiera

Milano Fiera assiste ad una prima sconfitta economica e funzionale, con lo spreco di quella che si credeva fosse un’infrastruttura emblematica di prestigio, solerzia e servizi maggiori: Milano Fiera infatti ufficializza il fallimento dell’ospedale anti-Covid.

L’ospedale della Fiera in Milano presenta un costo calcolato per difetto, visto che ai 20,95 milioni spesi per le strutture (cifra ancora non definitiva), vanno sommati gli stipendi pagati a medici e infermieri (più alti del normale, considerati gli incentivi concessi per convincerli a lavorare lì) e i costi di farmaci e forniture. Calcoli che il presidente Attilio Fontana ha enfatizzato anche ieri – giorno di definitiva chiusura della struttura – dichiarando: “Realizzare questo ospedale è stata una scelta giusta, presa in un momento di grande difficoltà”. Questo in questione e’ di fatto un (non) ospedale, dalla funzione promozionale dal punto di vista politico e pubblicitaria sul piano internazionale. Infatti il presidente della regione Lombardia lo annunciò come la “risposta italiana a Wuhan”, la dimostrazione dell’efficienza lombarda ai cinesi che ci avevano portato il virus (quelli ai quali il Pirellone voleva fare causa).

I 650 letti erano infatti diventati 221, ma mai nelle varie ondate sono stati attivati tutti. La propaganda tuttavia non si fermò: si lanciò la raccolta fondi che arrivò a oltre 40 milioni. Soldi in parte usati, in parte restituiti, in parte tutt’ora fermi sul conto del Pirellone. Più di un donatore si lamentò e chiese lumi sul loro utilizzo, a partire dall’avvocato Giuseppe la Scala. Furono accontentati solo in parte. Tutto ciò accadeva nonostante i medici e le associazioni di medicina di rianimazione dicessero che costruire una struttura di terapia intensiva senza un ospedale alle spalle, fosse una follia, sfidando il divieto di parlare imposto dall’allora assessore Gallera. Milano andò avanti comunque, prima invitando, poi precettando, infine blandendo con lauti guadagni i sanitari che avrebbero dovuto lavorare lì. Perché non ci voleva andare nessuno. I sanitari sapevano che sarebbe stato meglio rimanere nei loro ospedali per ammortizzare il gigantesco carico di lavoro dovuto al Covid, piuttosto che sguarnirli per andare in Fiera. Alla fine furono costretti a cedere. Anche quelli della sanità privata, “invitata” a partecipare all’operazione. Nella prima ondata l’astronave non servì, perché arrivò tardi. Nella seconda e terza aprì e succhiò personale da 17 strutture ospedaliere diverse. Pur di farla aprire, si chiusero gli ospedali piccoli, i medici furono mandati negli ospedali più grandi, che, a loro volta, dovettero dare personale alla Fiera: migliaia di persone si riversarono negli ospedali più grandi (lontani da casa, perché i loro ospedali erano stati chiusi), che collassarono. Molti pazienti vennero ricoverati a centinaia di chilometri di distanza e morirono da soli.

Uno scandalo imputabile a quella sedicente laboriosita’ ed efficienza settentrionale che si inserisce nello scenario di chiusura di ultimi importanti ospedali al sud. E senza contare il fatto che su Napoli, sede del sontuoso Ospedale del Mare, il lavoro di sgravamento del famigerato Cardarelli principale nosocomio meridionale, non e’ in dirittura di arrivo. Perche’ personale e struttura della mastodontica nuova sede sanitaria in uno dei tratti piu’ popolosi d’Europa non sono ancora andate a regime; per cui liste di attesa e rallentamenti con corsie intasate in certe fasi, impazzano nel sud Italia.

L’operazione di Fontana per l’ospedale in fiera tuttavia, potrebbe annoverarsi in un ritorno in Italia della politica fattiva, se non fosse stata la chiusura preventiva di altri ospedali e quella ultima dello stesso stabile in Fiera ad aver concretizzato un’opera monca da una parte, ed un ospedale in meno dall’altra.

Lascia il tuo commento
Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail