Pino Aprile ed il Natale anticristiano di Gaza

SENTIRSI “PIÙ BUONI”, MENTRE I BAMBINI A GAZA, IN MEDITERRANEO…

di Pino Aprile
“Buon Natale”: ringrazio chi me lo augura, ricambio, lo dico agli altri. Ma di “buon” cosa parlo? Sono ateo, ma pur sempre figlio della cultura greco-giudaico-cristiana mediterranea e non posso non avvertire il clima della festa e dei sentimenti che genera.
Sì lo so che si tratta di sincretismo religioso, sintesi di molti miti e fedi (anche Dioniso, dio del vino, era figlio di madre mortale che lo partorì per opera di un dio, restando vergine e fu poi assunta in cielo; e così il dio fanciullo Mitra che nacque il 25 di dicembre, a Oriente, eccetera), ma in questi credo, l’animo umano trova consolazioni, attese, speranze e sentimenti profondi che ci coinvolgono tutti e ci inducono a comportamenti condivisi. Che temo restino in superficie, però, e incidano poco sulla sostanza, come il calore dei falò: scalda solo i più vicini e proprio quanti ne traggono il maggior beneficio diventano lo schermo, l’ostacolo, il muro che nega ad altri quel tepore.
Che significa “sentirsi più buoni”? Significa fare qualcosa per i bambini di Gaza che nessun angelo sottrae alla strage del nuovo Erode? O impegnarsi per ricondurre a casa i diecimila bambini sottratti in Ucraina alle famiglie e deportati in Russia, per educarli alla “giusta nazionalità”? O cercare di impedire che continuino a popolare il cimitero in fondo al mare quei bambini che con i loro genitori, o persino da soli, vedono fallire il tentativo di avere una speranza alla roulette della vita, attraversando su legni marci e gommoni sgonfi il Mediterraneo, dopo essere stati già fra i fortunati a sopravvivere alla traversata del deserto?https://www.instagram.com/where_fashion_is_art?igsh=ODA1NTc5OTg5Nw==


O ci sta ancora bene che, per impedire alle navi delle organizzazioni umanitarie di soccorrerli, un governo e un ministro Erode impongano che non possano salvare più di un “carico residuale” alla volta e vadano a “scaricarlo” più lontano possibile, in modo da essere sicuri che nessuno distolga la morte dal prendersi quei naufraghi? Magari, questi Erode in carta bollata ed auto blu si commuovono davanti al presepe e pensano di lavarsi l’anima dando ai poveri (forse quelli a cui hanno tolto il reddito di cittadinanza, per abbuonare miliardi agli evasori fiscali e tasse su extra-profitti alle banche) un panettone comprato in offerta al supermercato, di quelli che non si capisce, dal sapore, se stai mangiando pure il cartone o no.
Insomma, non è che quel “sentirsi più buoni”, senza fare qualcosina in più, almeno a Natale, per esserlo davvero, serva a nascondere una colpa? E lo chiedo a me stesso.
Certo, non ci si può sentire responsabili di tutto e di tutti. Ma il guaio è che lo siamo comunque se, come è stato ben riassunto, “la colpa è personale, la responsabilità è sociale”. La società siamo noi. E quello che trasforma alcuni in Erode ed altri in loro vittime è l’accettazione, convinta o di fatto, per comoda rassegnazione, delle disuguaglianze, dell’idea che la disparità fra l’eccesso di privilegio e di privazione, persino della vita stessa, possa essere giustificabile: per “le leggi dell’economia”, per ideologia, per impedire che “quegli altri” possano “sfruttare politicamente” i poveri. Che sono abbandonati “al loro destino”, come fosse una loro colpa e non una condizione figlia di scelte di potere.
Le disuguaglianze sono ineliminabili (la stessa educazione, fornita a due esseri umani posti nelle stesse circostanze, produce due persone diverse), ma il troppo che cancella diritti produce violenza. È storicamente dimostrato che quando la distanza fra privilegio e privazione diviene insopportabile, è la violenza ad accorciarla. Ma anche il male ha le sue graduatorie fra il più ed il meno: il peso di quelle ingiustizie, di quei dolori, si scarica sempre sui più deboli, a scalare; e quindi sui più deboli fra loro, i bambini.
Ero credente, volevo diventare prete, entrai in Seminario, ci rimasi tre anni. Ne uscii, perché non trovavo risposte al pianto dei bambini (se riceviamo secondo le nostre azioni, quale colpa mai può giustificare il dolore inferto ai più piccoli?). Ma soprattutto, ero disorientato, a dir poco, dalla Strage degli Innocenti: Erode vuole lo sterminio di tutti i neonati a Betlemme, solo per eliminare Gesù. E l’angelo avvisa Giuseppe, perché fuggano in Egitto, si pongano in salvo. I miei educatori mi esortavano alla pietà per la Sacra Famiglia costretta all’esilio, ma io ero sconvolto dal fatto che non fossero stati avvertiti anche i genitori degli altri neonati. E Giuseppe, la Madonna con che coraggio avrebbero taciuto la notizia, pensando solo a se stessi, lasciando che alle loro spalle avvenisse un massacro che poteva far credere ad Erode di essere riuscito a sopprimere il bambinello, mentre tutti erano stati sacrificati dal silenzio colpevole, per salvarne solo uno?
Forse mi facevo troppe domande e la fede non ne sopporta troppe. Ma quegli Innocenti, ritenuti i primi martiri della nuova religione, non avevano scelto di esserlo ed i loro genitori non seppero nemmeno perché vennero fatti a pezzi i loro figli.https://www.instagram.com/where_fashion_is_art?igsh=dGV6Ymtxc2FsZXRn


Non voglio offendere i credenti, ma se ci si interroga sul diverso valore della vita di bambini che sono a Gaza, in Ucraina, sui barconi della morte e nelle nostre case, ci sta che, nel giorno in cui si ricorda la nascita più celebrata degli ultimi duemila anni, venga in mente il prezzo pagato da molti, perché uno vivesse.
Temo che questo giorno che “fa sentire più buoni” possa essere mal capito, inducendoci a non esserlo e ad accettare l’idea che la Strage degli Innocenti serviva per un bene più grande e futuro. E quella dei piccoli fatti morire sotto le bombe in Ucraina od a Gaza, in ospedali privati di luce, acqua, medicine, o in Mediterraneo, mentre le navi di salvataggio sono tenute forzatamente lontane, serva a mantenere un ordine geopolitico, nel quale solo ad alcuni bambini, i nostri, sia garantito quanto ad altri viene negato.
L’equità, come la vita, è un valore universale: in qualunque momento e luogo venga diminuito, disconosciuto, ognuno di noi è in pericolo. Per quanto lontano sia chi ne patisce, il prossimo puoi essere tu, posso essere io, può essere nostro figlio. Ma non si può lasciare alle vittime la coscienza di quanto questo sia ingiusto.
Non avevo intenzione di arrivare a questo punto, volevo solo riflettere sul valore dei sentimenti che questo appuntamento annuale suscita. Ma può ognuno caricarsi del peso di tutti i mali del mondo? Ci sono persone che ne sono capaci. Giornate come queste, però, pur senza essere tutti madri Terese di Calcutta, magari servono a ricordarci che qualcosa in più di sentire possiamo fare. Il poco di tanti è molto più del tanto di pochi.

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