Di Stelio Fragola e Francesco Paolo Tondo
IL CAPITALISMO VA CONTROLLATO: UN ESEMPIO DAL MERCATO DEI VIDEOGIOCHI
Un pensiero che facevo oggi sul mercato dei videogiochi, che riflette anche i limiti del liberal capitalismo.
Chi segue il mercato dei videogiochi sa che lo stesso stia attraversando una fase di estrema crisi. È oggetto di dibattito se sia una crisi paragonabile al disastro degli anni Ottanta (quando fallirono aziende su aziende) oppure no. Ma comunque, la crisi è indiscutibile: costi immani, rientri economici risicati, aziende come Sony che licenziano in massa.
C’è un’azienda in particolare che non lo sta facendo ancora, e si chiama Nintendo. Una questione strutturale, tradizionale e culturale, dal momento che l’ex presidente della compagnia Satoru Iwata, scomparso ormai diversi anni fa, riteneva (testuale) che “in caso di crisi i licenziamenti non sono la soluzione”. Il capitalismo come ben sappiamo va in direzione opposta, quando gli utili scarseggiano o si entra in difficoltà. Ovviamente, i licenziamenti sono sempre possibili, ma in questo caso si può parlare di una resistenza piuttosto forte alle crisi.
Questo perché Nintendo, pur essendo un’impresa indiscutibilmente capitalistica, lavora ed ha sempre lavorato in senso molto “sociale”, perfino conservativo se si pensa alle modalità con cui investe.
È cosa nota che le maggiori compagnie del mondo, quelle che muovono solitamente quantità di denari gigantesche (anche superiori a Nintendo per vasti periodi) quando investono ricorrono spesso ai prestiti bancari. Nintendo è una società che lo fa pochissimo, o per nulla. Spende ciò che ha in cassa, ed in cassa ha parecchio, dal momento che come possibilità finanziarie e patrimonio è la compagnia più ricca del Giappone, con l’incredibile cifra di 11 miliardi di dollari (dati aggiornati al 2024: https://multiplayer.it/notizie/nintendo-attualmente-e-compagnia-piu-ricca-giappone-con-cassa-esagerata.html). Un atteggiamento in controtendenza rispetto alle varie Microsoft, Sony e compagnia cantante.
Ma che paga in termini di solidità. E ci porta a riflettere su quanto sia pericoloso il capitalismo estremo. Ottimo in periodi di esplosione, potenzialmente devastante in quelli di crisi. Nintendo non chiede prestiti alle banche – in linea di massima – e spende solo ciò che ha. Il resto del mondo vi ricorre in modo massiccio e ripaga con gli utili. Rischiando di naufragare ancora peggio se poi le cose dovessero andare male.
PS. Mi viene in mente un parallelismo. La definirei quasi una “Adriano Olivetti dei videogiochi”.
Nintendo e’ un clamoroso paradigma di autonomia finanziaria che attualmente e’ possibile anche alle super multinazionali Apple ed Amazon. Quest’ultima ha infatti lanciato per i suoi abbonati, un servizio che consente di memorizzare in maniera illitata le foto, ma non i video purtroppo. La Apple e’ impegnata invece, in pionieristici ed avveniristici progetti tecnologici che giovano anzitutto il reparto militare. Amazon ha inoltre inglobato la prestigiosa Metro Goldwin Meyer e si appresta a primeggiare perfino nel settore cinematografico, dipanando quella che rappresenta una crisi mastodontica del cinema americano: crisi implementate dalla ascesa irreversibile dei prodotti audiovisivi Brics, che intrattengono il proprio mercato interno dai numeri monstre.
In Italia esiste in modo gia’ espresso pubblicamente, almeno una azienda farmaceutica di medie dimensioni autoctona, ovvero che si autofinanzia. Ma a detta del proprietario ottuagenario, per concretizzare questa possibilita’, egli stesso e’ sottoposto a turni di lavoro sesquipedali, che includono anche i giorni festivi. Da qui si evince quanto vada riregolamentato il mondo finanziario e bancario, che attualmente detiene la mggioranza delle grandi multinazionali, subordinato a logiche di mercato inglessibili e che si autofagocitano.