EDUARDO DE CRESCENZO: INCANTO E MAGIA DI UNA SERATA (E DI UNA VOCE) COMMOVENTE. Quando mio cugino Eduardo iniziò a cantare, durante i concerti spesso avevo quasi paura che non riuscisse a prendere certe note impossibili. E lui ci riusciva sempre. L’altra sera, al Conservatorio di Napoli e dopo tanti anni, ho vissuto le stesse sensazioni: una piccola paura seguita, canzone su canzone, dalla felicità dell’ascolto di una delle voci più belle della storia della canzone italiana (e non solo). Al di là del grande affetto tra noi, la musica di Eduardo ha accompagnato tanti passi dalla mia vita e ancora li accompagna; e quando canta faccio sempre più fatica a non riviverli ed a non commuovermi.
Perché Eduardo canta “dimme dimme a chi pienze assettata sola sola addereto a sti llastre” e la sua voce piange. Perché Eduardo li vede e li sente davvero quei colori e quei profumi digiacomiani di “Era de maggio” (la canzone perfetta) e te li fa vedere e sentire. Perché quella voce cede, tra le gocce di lacrime e di acqua di mare di chi partiva da “Santa Lucia luntana”. La stessa voce grida con la rabbia quasi disperata di “Canzona appassiunata” per quel piccolo albero cresciuto con amore ma spezzato dal vento fino a quel “te voglio bene e tu mme fare muri'” quasi sussurrato, testa sul petto. https://www.instagram.com/where_fashion_is_art?igshid=OGQ5ZDc2ODk2ZA==
Così, in quella voce, ci leggi la malinconia struggente di “Uocchie c’arraggiunate” (“e chi ve pò scurda’, uocchie c’arraggiunate senza parla””), ci leggi la delicatezza di “io te vurria vasa’ ma ‘o core nun m’ ‘o ddice ‘e te sceta’”, ci leggi la disillusione del poeta di “Voce ‘e notte” (“canta isso sulo, ma che canta a fa’?”) o la rassegnazione quasi dolce di “Che t’aggia di’” (“e famme n’atu ppoco cumpagnia, chi sa dimane si te veco cchiù”). E la sua voce riecheggia, sola, sul filo della fisarmonica, per le strade isolate di notte di “Luna rossa”, la canzone di zio Vincenzino, la canzone della nostra famiglia. Quella fisarmonica è ormai parte integrante del corpo e dell’anima di Eduardo, unita, nei suoni, a quelle note altissime che Eduardo va a cercare ed a tirare fuori nelle contrazioni di una cassa toracica che somiglia sempre di più a quella fisarmonica.
Spesso la voce di Eduardo è un soffio, un sospiro capace di emozionarti in tutto quello che canta, nei brani suoi come nei brani classici. È la differenza profonda che esiste tra i cantanti e gli interpreti veri, quelli, cioè, capaci di entrare nell’essenza (parola perfetta, parola cara ad Eduardo) di note e parole, di idee e sentimenti degli autori, accompagnato, in questo vero e proprio viaggio braccio sotto braccio ed in totale e profonda sintonia-armonia, dallo straordinario pianoforte di Julian Oliver Mazzariello, essenziale (torna la parola “essenza”) e capace di alternare voli e ritorni. E una parte di quell’armonia te la porti dentro anche dopo il concerto, come quando vedi dei luoghi bellissimi nella fusione di colori e linee (penso magari alla Reggia di Caserta o ad un tramonto a mare).https://www.instagram.com/where_fashion_is_art?igshid=OGQ5ZDc2ODk2ZA==
Dal palco dell’altra sera l’idea (necessaria e urgente) di far riconoscere la canzone napoletana patrimonio dell’Unesco e la presentazione della pubblicazione, in questi giorni, dei vinili e degli spartiti originali del progetto “Avvenne a Napoli”, progetto che ha già pubblicato un CD ed un libro (nel quale c’è anche un affettuosissimo ringraziamento per le parole che siamo scambiati sulla lingua napoletana). Quel progetto ricostruisce “con gentilezza” (altra parola che associo da sempre ad Eduardo) venti brani della tradizione napoletana più alta. Il progetto è un omaggio a quegli autori ma resta la sensazione surreale che quegli autori è come se avessero fatto un omaggio ad Eduardo, quasi aspettando che, prima o poi, qualcuno cantasse le loro canzoni come le canta Eduardo.
Gennaro De Crescenzo