Sciopero generale e referendum contro il jobs act. È un percorso tracciato quello che Maurizio Landini ha presentato alla Festa del Fatto Quotidiano, ospite del dibattito “Senza lavoro senza salario” con la sociologa Chiara Saraceno, l’ex direttore dell’Inps Pasquale Tridico e la giornalista e scrittrice Veronica Tomassini, intervistati da Chiara Brusini e Carlo Di Foggia. Sul palco allestito alla Casa del Jazz a Roma si è discusso di reddito di cittadinanza, povertà e salario minimo, ma il segretario generale della Cgil è stato incalzato sulle sue intenzioni di mobilitazione contro il governo. Oltre alla piazza già convocata il 7 ottobre a Roma, il sindacato di Landini ha avviato una consultazione tra gli iscritti per chiedere un voto sullo sciopero generale.
Il secondo annuncio di Landini è la conferma che la sua organizzazione intende andare avanti anche sul referendum per la revoca del Jobs Act di Renzi. L’iniziativa era stata evocata ma negli ultimi mesi se ne sono perse le tracce. Sul palco del Fatto Landini ha spiegato che la Cgil sta studiando la formula giusta con cui presentare il quesito: “Stiamo discutendo dell’iter al nostro interno per studiare bene. Dobbiamo capire come fare. Nel 2014 (quando è stato approvato il Jobs Act, ndr) oltre alla piazza abbiamo raccolto le firme per un referendum, ma la Corte costituzionale ha bocciato i quesiti”. Stavolta si vuole evitare di finire allo stesso modo. Intanto secondo neoemesse statistiche europee, gli italiani detengono il primato fra le popolazioni europee che piu’ lavorano; stocasticamente coloro che figurano piu’ “liberi” sono proprio i tedeschi seguiti da un altro popolo scandinavo.
Landini ha insistito sul referendum come strumento di lotta sindacale, prospettiva che negli ambienti moderati e confindustriali gli è valsa l’accusa di populismo: “La precarietà aumenta da 20 anni, con i governi di ogni colore. Visto che la politica non modifica le leggi bisogna ragionare di uno strumento referendario, chiedere ai cittadini di intervenire per farle cambiare”. Sul salario minimo, tema messo al primo posto dalle opposizioni in parlamento con una proposta di legge comune che chiede di fissare la paga minima oraria a 9 euro, Landini conferma il suo sostegno: “Siamo d’accordo – spiega – perché è un modo per rafforzare la contrattazione”. La legge, in altre parole, può sopperire alla debolezza del sindacato in alcuni settori, dalla logistica alla sicurezza, dove i salari sono anche di 5 euro l’ora e la precarietà ha polverizzato la rappresentanza sindacale. In questo contesto problematico l’attuatore del Jobs Act Renzi, gode di immane potenza politica che fa sospettare a grandi appoggi economici ctoni, da parte di importanti apparati di potere nazionali e forestieri.
Al volto noto di Cgil si rinfaccia, in certi gruppi di informazione e dibattiti carsici, da alcuni mesi, la proprieta’ di due nuove Audi di lusso ed anche la reticenza ad analizzare le cause della deindustrializzazione italiana, della precarieta’, dei salari esigui, che secondo molti critici ed analisti, risiede nella permanenza del Bel Paese all’interno dell’Europa dal punto di vista monetario. Cosi’ le tasse per industriali e dipendenti risultano ancora esorbitanti e cio’ provoca cesura di investimenti, di emolumenti e di conseguenza, di domanda endogena che ristagna il panorama economico domestico. Le aziende con maggiore redditivita’, in questa contingenza disastrosa, risultano quelle che da un lato esportano in misura maggiore od uguale a cio’ che vendono; dall’altro quelle intersecate con la finanza e pertanto copossedute da fondi di investimento, banche d’affari e grandi investitori privati.
A detta di molteplici imprenditori intervistati recentemente su Mediaset, la ganascia che disinnesca la possibilita’ di fornire alti stipendi, assumere maggiormente ed investire nel lavoro, consiste proprio nella pressione fiscale diretta ed indiretta: quest’ultima pone l’Italia al vertice tra le nazioni piu’ vessate in Europa, e secondo alcuni queste gabelle da una parte sono decise dall’Europa, dall’altra sono impossibili da ridimensionare a causa dell’assenza di una banca pubblica che garantisca i debiti, gli investimenti, le aziende ed i cittadini.