Di Paolo Paoletti
RIVA RESTERA’ IMMORTALE: CAMPIONE INARRIVABILE, MODELLO DELLA MIA ADOLESCENZA. UNA STORIA DA RACCONTARE NELLE SCUOLE PER PRINCIPI E VALORI. IL PIU’ GRANDE GOLEADOR ITALIANO, TRA I BIG DI TUTTI I TEMPI. CIAO GIGI, IL TUO ROMBO FARA’ VIBRARE PER SEMPRE.
Un dolore profondo, incontenibile, assoluto. L’ho saputo davanti alla tv, durante Inter-Napoli, finale di Supercoppa.
Nell’assurdo del primo ricordo pubblico a Gigirriva consumato tra i fischi della notte di Riyad, la notte più vergognosa del calcio italiano nel contrasto tra l’etica, il carattere integerrimo, i sentimenti e l’amore per il calcio di Gigi ed i 23 milioni per 3 partite incassati dalla Lega pronta a vendersi anche le mutande per un pugno di milioni.
Gigi Riva è morto a 79 anni e con lui è morta una parte importante della mia adolescenza.
E’ stato il mio idolo, non solo calcistico; l’esempio da imitare sopratutto fuori dal campo, perchè impossibile con un pallone tra i piedi. Che mi ha ‘dettato’ perfino come vestirmi, ripudiando la cravatta, per polo e dolcevita sotto la giacca anche nelle occasioni importanti. Tante altre cose…
Riva l’ho incontrato privatamente una volta sola, il tempo di un caffè al Parco dei Principi di Roma, casualmente. Due, tre domande, risposte brusche ma sincere, certamente forzate dall’educazione più che dal piacere di parlare di sè.
Si ‘sciolse’ quando confessai che avevo davanti l’idolo della mia gioventù, diventato giornalista sportivo non essendo riuscito a fare il calciatore. Ma sopratutto, lui, Rombo di Tuono, per anni modello da imitare per sfuggire alla tristezza di una famiglia spaccata dalla separazione dei genitori ed un padre mai più visto per otto anni.
Ammiccando a quel mio personale ricordo, mi disse che il calcio era stato tutto perchè gli aveva regalato 3 cose: amici, soddisfazione, lavoro.
Riva è stato molto più di un grande campione, è stato e resterà il simbolo del calcio italiano del Dopoguerra. Inarrivabile non solo per i 35 gol in 42 gare con la Nazionale, lo storico scudetto col Cagliari, il reiterato no alla Juventus anche a costo di perdere tanti soldi, titoli, e chissà quanto altro ancora.
Simbolo di integrità, coerenza, principi e valori. Di sofferenza e forza interiore, chiuso nei suoi silenzi.
Sempre di poche parole, anche quella volta al bar, anche e sopratutto quando l’interlocutore tesseva le sue lodi.
Semplice, diretto, immortale. Per l’idea di persona che ha dato all’Italia ed agli italiani, testimonianza che lascia ai giovani, in opposizione al calcio di oggi, senza anima e identità.
La storia di Riva dovrebbe essere raccontata a scuola: narra come la forza di volontà, il coraggio, il sacrificio, possano realizzare il destino.
Come un lombardo di Leggiuno, orfano di padre e madre, cresciuto dalla sorella maggiore (Fausta) e nel collegio Padre Beccaro di Viggiù, oggi chiuso, accetta malvolentieri di trasferirsi a Cagliari nell’Isola mai diventata Continente, se non negli anni più felici grazie al suo bomber.
Scoprendo la solitudine del mare, uguale a quella del lago Maggiore quando era bambino.
Riva in campo è stato tutto per 15 anni. Quelli in Sardegna diventata la sua Terra, il suo tutto. Dove ha trovato il rispetto di un Popolo, l’amore di Gianna Tofanari, romana trapiantata a Cagliari da un marito petroliere. Lasciato per Gigi. Percorso difficile, concluso dopo tanti anni, in cui sono nati Mauro e Nicola, sardi in tutto e per tutto.
Storia che Gigi ha sempre difeso con il silenzio. Storia mai arrivata al matrimonio e poi ad una separazione mai ufficiale.
Della sua prima vita, in attesa di quel caffè, al Parco dei Principi, Riva mi regalò un aneddoto mai dimenticato: al Legnano, arrivato nelle giovanili, poi promosso in prima squadra, in Serie C, nell’esordio vittorioso, il 21 ottobre 1962 in casa contro l’Ivrea, 3-0, segna la terza rete all’85’. Per festeggiare invita tutta la squadra a bere una birra, al Ponte Cotonificio dell’Acqua sull’Olona, in via Matteotti, pieno centro. Si presentarono solo in due. Distrutto, Gigi prese a calci le due cassette di birra e gazzosa, comprate col premio partita, speso invano per un brindisi coi compagni. Rifiutato…
Su quella delusione, Riva ha costruito la sua grandissima carriera. La sua forza, che lo ha sostenuto sempre, soprattutto per risorgere dopo i 5 infortuni gravi. Due in Nazionale.
L’Azzurro con cui diventa Campione d’Europa nel 1968, vicecampione nel ’70 battuto solo da Pelè, ai mondiali in Messico.
Ma poi Campione del Mondo nel 2006 da Team Manager della squadra che ha regalato all’Italia l’ultimo trionfo prima del declino interrotto dal miracolo di Mancini. E l’attività di talent scout, avendo scoperto Niccolò Barella, oggi miglior calciatore italiano, forgiato nella ‘Scuola Calcio Gigi Riva’, la prima sorta a Cagliari.
Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva. Guida tecnica e spirituale Manlio Scopigno.
Gigi lassù tornerà ad essere il leader di quel gruppo, unico ed incredibile. Una storia che la Sardegna, l’Italia, il calcio di tutti i tempi non potrà dimenticare.
Il conio di Gianni Brera ad accompagnarlo nell’ultimo viaggio, quel Rombo che fece vibrare le nostre domeniche, le nostre vite.
Ciao Gigi, è stato un enorme privilegio prendere esempio da un modello come te.