Ragazza down abbandona liceo: attacchi veri ad inclusività

di Rita Lazzaro

«Lascio il liceo», sono queste le parole di Nina Rosa Sorrentino, una ragazza di 19 anni con sindrome di Down, che avrebbe voluto sostenere l’esame di maturità a giugno prossimo. Ma gli insegnanti del Liceo Sabin di Bologna dove è iscritta Nina, le hanno negato questo diritto perché hanno ritenuto che sarebbe stato troppo stressante per lei. I genitori della ragazza, entrambi musicisti, hanno subito deciso di ritirarla dalla scuola per permetterle di riprovarci l’anno prossimo e di mantenere aperta la possibilità di conseguire il diploma di scuola secondaria superiore, necessario per l’accesso all’università e ad alcune professioni.

Nina è una ragazza determinata, con una memoria spiccata, appassionata di musica, danza e teatro. Ha studiato violino, chitarra, flauto e suona anche il tamburo a cornice. Nonostante le difficoltà legate alla sua condizione di ragazza con la sindrome di Down, è sempre stata un’entusiasta della scuola e vorrebbe diventare un’artista. Per gli alunni con disabilità, alle superiori ci sono tre programmi tra cui scegliere: ordinario, personalizzato con obiettivi minimi (equipollenti) che porta all’ammissione all’esame di Stato vero e proprio (ma con prove rimodulate) e differenziato che al termine del quinquennio fa conseguire un attestato di competenze senza alcuna validità. Gli insegnanti di Nina, già nelle prime settimane del primo liceo, hanno optato per il programma differenziato, quello che al termine del quinquennio fa conseguire un attestato di competenze senza alcuna validità. I genitori all’inizio hanno accettato questa scelta per non mettersi in contrasto con la scuola, ma in seguito hanno chiesto se la figlia potesse invece diplomarsi. Il lavoro con Nina però non dà i risultati auspicati. E così i genitori chiedono alla scuola di mettere in campo una progettualità didattica che porti a lungo termine la figlia al raggiungimento degli obiettivi minimi necessari per poter essere ammessa in quinta all’esame di maturità. Ma questa richiesta viene accolta solo quando la ragazza Down è all’inizio del terzo anno. E così i genitori si sentono “ingiustamente” costretti a ritirarla da scuola.

Ennesima sconfitta di civiltà che, per di più, ha luogo a ridosso della giornata mondiale della Sindrome di Down ( 21 marzo). Il che rende ancora più evidente il fallimento di uno Stato che parla di inclusività dove però “il diverso” o semplicemente il più fragile viene escluso. Una vicenda vergognosa che porta la conferma amara di quanto riportato da uno studio del Censis di fine 2022, realizzato in collaborazione con Aipd, l’Associazione Italiana Persone Down da cui risulta che quando un giovane con sindrome di Down termina il percorso scolastico “c’è spesso il nulla e non resta che stare a casa: è la realtà che vive quasi il 50%, specialmente al Sud e nelle isole“. È anche per questo che Il 44,8% dei down over 45 non fa nulla e sta a casa; appena il 9% lavora e il 41,3% frequenta un centro diurno. E solo il 24% ha una vita relazionale affettiva e il 2,5% ha una relazione sessuale, percentuale che sale a 4,3% tra i 25 ed i 44 anni. A quanto pare tra la parola “inclusività” ed essere inclusivi c’è di mezzo il disvalore dell’ ipocrisia.

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