Qatar, Marocco E L’obbligo A Messi

Di Rita Lazzaro

La parola ai fatti. Il Qatar è noto per la costante violazione dei diritti confermata dalle innumerevoli morti sul lavoro, la continua discriminazione della comunità lgbtq+ e la sorveglianza di massa. Non per nulla , lo stesso Sepp Blatter, presidente della Fifa al momento della designazione della sede nel 2010, aveva detto che la scelta del Qatar era stata “un errore”. Un errore avente ad oggetti non solo una puntuale violazione dei diritti umani ma anche scandalo corruzione, dal momento che diverse inchieste hanno rivelato un giro di tangenti che avrebbe di fatto spianato la strada all’assegnazione verso il paese mediorientale. Il tutto nel silenzio assenso della FIFA.

Adesso imperversa nei tribunali e nei media il Qatargate. Perché le indagini principali riguardano presunte tangenti arrivate dal piccolo emirato sul Golfo per influenzare e determinare a proprio favore la politica dell’europarlamento e rideterminare in positivo l’immagine dello stesso Paese arabo.

Oltre al Qatar risultano anche altri Paesi coinvolti. A partire dal Marocco, i cui servizi segreti sono sospettati di aver organizzato un giro di mazzette elargite ad alcuni politici europei. Non viene scartata anche una pista che porta all’Iran, visti gli ottimi rapporti tra Doha e Teheran e il coinvolgimento di almeno un analista politico considerato vicino alla Repubblica Islamica.

Uno scandalo di mazzette che ha coinvolto il vice presidente del parlamento europeo, la parlamentare greca Eva Kaili, l’ex eurodeputato italiano Antonio Panzeri (eletto con il Pd e poi passato ad Articolo1, da cui viene sospeso dopo l’arresto), l’assistente Francesco Giorgi, compagno di Kaili. Mazzette che hanno coinvolto anche semplici cittadini, soprattutto i lavoratori migranti. Infatti sembra che gli emiri li abbiano pagati per far finta di essere tifosi sportivi, mandati in giro per le strade della capitale, vestiti con le maglie delle varie nazionali più famose. E non è la prima volta.

A proposito di lavoratori migranti, la testata britannica Guardian ha avuto accesso a documenti governativi qatarioti e ha rivelato che dal 2010 al 2020 sono morti 6.500 lavoratori impiegati nelle costruzioni legate ai mondiali. Un numero che riguarda esclusivamente migranti e che è arrotondato per difetto, dal momento che non prende in considerazione alcuni paesi di arrivo. La gran parte delle morti sarebbe avvenuta per cause naturali che, come hanno però dimostrato diverse inchieste e testimonianze, sarebbero strettamente correlate alle violazioni dei diritti umani in Qatar: persone costrette a lavorare per turni infiniti sotto al sole cocente estivo, assenza dei dispositivi di sicurezza sul luogo di lavoro, condizioni fatiscenti e pericolose negli alloggi dove venivano ospitati gli operai. Una carneficina di lavoratori su cui il governo del Qatar ha continuato a far finta di niente, mentre la Fifa si è limitata a sminuire, affermando che “la frequenza degli incidenti nei cantieri della Fifa è bassa rispetto ad altri grandi progetti edilizi nel resto del mondo”.

Per di più, chi in Qatar ha provato a denunciare lo sfruttamento dei lavoratori e le morti legate all’organizzazione dei mondiali ha fatto una brutta fine. È il caso di Adbullah Ibhais, ex membro del Comitato Supremo di Qatar 2022, che si trova da anni in galera per aver provato ad accendere i riflettori su tutto quello che non funzionava nei cantieri del paese.

Il bavaglio è stato una costante anche nei giorni di avvicinamento al mondiale. Un giornalista danese della televisione TV 2 è stato costretto a interrompere la sua diretta, dopo che membri delle forze dell’ordine locali hanno aggredito la sua troupe, cercando di prendere il possesso della telecamera. Secondo alcune testimonianze il problema nasceva da una domanda dallo studio proprio sulla situazione dei diritti umani; questo mentre la Danimarca già non è ben vista dalle autorità locali.

La Federazione calcistica danese aveva infatti intenzione di indossare maglie di allentamento con la scritta “diritti umani per tutti”. Sempre la Danimarca peraltro aveva magliette da gara con lo sponsor tecnico oscurato, dato che l’azienda Hummel ha detto di voler prendere le distanze dalla sede della competizione. La Fifa, che non sta facendo niente per prendere le distanze da tutti i lati oscuri dei mondiali in Qatar, ha però vietato “per motivi tecnici” ai calciatori danesi di indossare abbigliamento con messaggi umanitari. Ed a proposito di diritti violati da ricordare la regolare discriminazione lgbtq+.

L’articolo 296.3 del codice penale qatariota criminalizza infatti vari atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso e prevede il carcere in caso di violazione.

Come ha sottolineato Amnesty international, negli scorsi mesi diverse persone omosessuali e transessuali sono state arrestate in luogo pubblico, con anche l’obbligo di seguire le terapie di conversione. In un’intervista di inizio novembre all’emittente tedesca Zdf, l’ambasciatore dei mondiali in Qatar, Khalid Salman, ha dichiarato che gli omosessuali in arrivo nel paese per seguire la competizione sportiva “dovranno stare alle nostre regole”, sottolineando poi che “l’omosessualità è un danno psichico”.

Le autorità del Qatar nelle scorse settimane avevano anche vietato l’esposizione di bandiere arcobaleno durante gli eventi sportivi, un ban che alcune aziende hanno deciso di aggirare.

Norme stringenti che il Paese intende far rispettare anche ledendo altri diritti come quello alla privacy, ricorrendo alla sorveglianza biometrica.

Come ha spiegato in un’intervista il capo degli aspetti tecnologici dell’evento, Niyas Abdulrahiman, il paese è stato disseminato di 15mila telecamere a riconoscimento facciale. Decine di tecnici si sono trovati in una grossa sala video a osservare le centinaia di migliaia di persone che arriveranno in Qatar, tenendo sotto controllo gli stadi e le aree limitrofe, le metropolitane, i mezzi di trasporto di superficie, le strade e le vie urbane. “Finché non ci saranno danni alle proprietà o feriti, ci limiteremo solo a osservare”, ha detto Abdulrahiman, disegnando uno scenario da Grande Fratello.

Sempre a proposito di privacy, il media norvegese NRK qualche settimana fa aveva denunciato che a molti turisti in ingresso nel paese per i mondiali di calcio era stato chiesto di installare due app sul telefono cellulare, Ehteraz e Hayyam, che potrebbero consentire l’accesso in modo inappropriato ai dati personali. Naomi Lintvedt, research fellow alla facoltà di legge dell’ Università di Oslo, ha giudicato queste app “molto intrusive”.

Simboli vietati ma altri messi ben in mostra.

Come successo con Leo Messi, Campione del Mondo con l’Argentina, che ha alzato la Coppa con addosso un particolare abito arabo nero. Infatti al momento della consegna ufficiale della Coppa del Mondo, prima di procedere con la premiazione, sul palco al centro del Lusail Stadium di Doha, l’emiro Al Thani e Gianni Infantino hanno vestito Messi con un mantello nero trasparente decorato con ricami d’oro.

Apparso un po’ imbarazzato e impacciato, Messi ha indossato il mantello nero senza fare storie prima di alzare al cielo, col sorriso di chi ce l’ha fatta, il trofeo più ambito insieme a tutta l’Argentina. Bisht è questo il mantello nero, appartenente alla tradizione araba.

Nel Golfo Persico, il Bisht è un capo d’abbigliamento solitamente usato per cerimonie che viene associato a ricchezza e regalità. Generalmente spetta ai sovrani o ai capi tribù e viene utilizzato per testimoniare l’elevato rango sociale di chi lo indossa. Un capo d’abbigliamento appartenente alla tradizione araba ,messo indosso a chi ha vinto la coppa del mondo.

Un gesto apparentemente legato alla tradizione ma che conferma lo stretto legame tra calcio e geopolitica e come un semplice gesto possa rappresentare in che modo sono posizionati gli scacchi.

E a proposito di cultura araba e immagini che hanno lasciato il segno, da ricordare lo scatto che ritrae l’abbraccio tra Hakimi, uno dei grandi protagonisti del Marocco, e sua madre a ogni vittoria del giocatore.

“Mia madre puliva le case e mio padre faceva il venditore ambulante. Veniamo da una famiglia modesta che faticava a guadagnarsi da vivere. Oggi combatto ogni giorno per loro. Si sono sacrificati per me”.

Lo stesso web che fino a qualche giorno fa sosteneva le donne iraniane. Gli stessi social che lottano contro il patriarcato per la difesa dell’universo in rosa. Eppure sembra che sia bastata un’immagine tra madre e figlio per dimenticare che ,ad esempio, in Marocco più di una donna su sue (circa il 54,4%) ha subito violenze secondo un sondaggio pubblicato dal Ministero della Solidarietà, della Famiglia e dello Sviluppo Sociale. La fascia di età più a rischio – riferisce Reuters – è quella tra i 25 e i 29 anni. Solo il 28,2% delle donne vittime di abusi ha parlato con una persona o un’istituzione ed appena il 6,6% ha presentato denuncia, in base ai risultati del sondaggio. Il ministro della Solidarietà, della Famiglia e dello Sviluppo sociale Bassima Hakkaoui ha dichiarato che la legge che criminalizza la violenza contro le donne le ha incoraggiato a denunciare gli aggressori. Ma il tasso di violenza contro le donne è «spaventoso», ha aggiunto. Scatti che scaldano il cuore dimenticando i tanti, troppi che hanno smesso di battere.

Una Fifa che invita a lasciare da parte la politica e a pensare al calcio. Un’ Ue sempre in prima linea per la tutela dei diritti, in primis, quelli Lgbtq+ e che contestualmente si fa comprare da chi calpesta gli stessi.

Ebbene sì sulla base di queste amare e vergognose vicende questi Mondiali resteranno nella storia per i goal segnati dall’ipocrisia umana.

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