di Rita Lazzaro
«Aiuto, aiutatemi, non respiro, non riesco a respirare…» sono state queste le ultime parole di Francesco Pio Maimone, il diciottenne colpito a morte da colpi di arma da fuoco. La pecca del ragazzo? Trovarsi in compagnia di amici per passare un paio d’ore con la comitiva. Appuntamento sul lungomare, nei pressi dello chalet “Sasà”, a due passi dell’imbarcadero degli aliscafi. È sempre più vicina l’ipotesi che, prima del barbaro omicidio, nella folla sia scoppiata una rissa tra giovani per un motivo banale: qualcuno, nella calca, aveva versato il contenuto di un bicchiere sulle scarpe di un ragazzo, il presunto assassino. A quel punto il giovane in preda all’ira avrebbe estratto una pistola, iniziando a sparare: almeno tre colpi (segnalati anche da una pattuglia della Guardia di Finanza che era in servizio pochi metri più avanti). Una reazione furiosa, incomprensibile: e sulla traiettoria di uno di quei proiettili si sarebbe venuto a trovare Francesco Pio, centrato in pieno petto. E ucciso per caso, senza un motivo. Intorno al suo corpo riverso sul marciapiede si fa la calca, qualcuno prova anche a rianimarlo praticando la respirazione bocca a bocca, ed approfittando di quello stesso caos animato dalla folla lo sparatore riesce a farsi un varco, trovando la via di fuga.
Arrivano le Volanti della polizia e un’ambulanza del 118 che inizia la sua corsa verso il Vecchio Pellegrini: quando Francesco Pio entra al pronto soccorso il suo cuore ha già cessato di battere. Nella immediatezza del fatto gli investigatori hanno preso in considerazione tutte le piste, a cominciare da quella camorristica. Ma è bastato poco ad escludere questa ipotesi, imposta forse più dalla suggestione derivante dal fatto che Francesco Pio abitasse a Pianura, in una strada peraltro finita spesso al centro delle cronache per alcuni agguati e stese commesse dai clan oggi in guerra tra loro.
La notte dello scorso 12 marzo la zona di Mergellina era stata infatti teatro di un altro fatto di sangue, il ferimento di un giovane ritenuto legato al gruppo criminale dei Calone, colpito da un killer mentre si trovava in auto con un amico. Antonio Gaetano, questo il suo nome, è scampato alla morte anche se le sue condizioni sono ancora oggi gravi. Escludendo allora la matrice camorristica, i casi sono due: Maimone è stato colpito da quel proiettile fatale per sbaglio (ipotesi sempre più accreditata), o per un tragico errore di persona.
La squadra mobile, dopo un interrogatorio, ha sottoposto a fermo un giovane con l’accusa di omicidio volontario con l’aggravante mafiosa. Si tratterebbe di un 19enne di Barra, quartiere della zona est della città, con legami con la criminalità organizzata, figlio di un affiliato al clan Cuccaro, deceduto in un agguato di camorra nel 2013. Il ragazzo avrebbe aperto il fuoco sulla folla, senza sapere a chi stesse sparando, perché infuriato per una macchia sulle scarpe, nuove e bianche, che qualcuno gli aveva sporcato. Una macchia sulle scarpe nuove e bianche, questo vale la vita di un ragazzo incensurato che, diventato piazzaiolo, sognava di aprire un locale tutto suo. Un sogno semplice, onesto e ricco di speranze. Ma, a quanto pare, in certe città del Sud sempre più abbandonato dalle Istituzioni e con un Popolo sempre diviso tra cittadini e criminali, sognare non è un diritto.
Infatti si parla di vere e proprie tragedie annunciate; basti pensare al quantitativo di armi sequestrate negli ultimi tempi tra pugnali, catene, mazze da baseball, bombe farcite di chiodi, kalashnikov, balestre, pistole artigianali, pipe bombs, fucili da cecchino, e ancora tirapugni di acciaio, coltelli da cucina, asce medievali, mitragliatori, bombe a mano e addirittura razzi, di quelli utilizzati nella guerra dei Balcani. Queste sono solo alcune delle armi sequestrate dai Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli. Strumenti di morte sottratti anche alla criminalità organizzata ma soprattutto a giovanissimi. Durante la movida, nelle serate in giro per locali o addirittura a scuola, in aula.
Nei primi 5 mesi del 2022, i carabinieri di Napoli e provincia hanno sequestrato 365 armi di varia natura. 158 da taglio, 123 da fuoco e 78 di quelle definite improprie: per intenderci mazze, tirapugni, nunchaku ed altre. Conti alla mano si parla di quasi 3 armi sequestrate al giorno. 365 potenziali minacce che si traducono in 153 denunce in stato di libertà per porto abusivo di armi e 37 arresti. Tra questi anche minori: 37 quelli denunciati, 3 quelli finiti in manette. Un dato allarmante che racconta di 1 minore denunciato o arrestato ogni 36 ore. La scusa più diffusa è ormai nota , “Mi serve per difendermi!”.
Alta è la percentuale di ragazzi tra i 18 ed i 20 anni sorpresi in possesso di coltelli e tirapugni, comune denominatore della volontà di difendersi dalla o provocare violenza che, sempre più spesso porta a un punto di non ritorno, seminando anche vittime incensurate che si trovavano nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Dati agghiaccianti che rendono ancora più amara quest’ultima tragedia, avvenuta per di più a ridosso della giornata contro le mafie. Evento che rende ancora più vivo l’abbandono delle istituzioni e il degrado morale, portando alla mente la frase di un grande che scrisse la storia: “Non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti” .