Per chi si chiede quanto possa costare una cena di pesce a Napoli la risposta è racchiusa nello scontrino condiviso da due persone sui social che ha provocato l’insorgere di pareri favorevoli e discordanti.
I napoletani conoscono bene il valore della propria cucina, mentre i turisti, anche se incantati dai sapori e dai colori del capoluogo campano, non sempre ne sono abituati. Un esempio – in tal senso – è quello che proviene dalla condivisione, su Facebook, di uno scontrino da parte di un utente, relativo ad una cena di pesce per due persone, consumata in un ristorante di Napoli. La cena è iniziata con il tradizionale cuoppo di frittura, uno dei classici dello street food napoletano, contenente alici, gamberi e altre delizie. È seguita – poi – l’immancabile impepata di cozze, altro piatto simbolo della cucina partenopea. Dopo gli antipasti, è stato il turno dei primi piatti. La cliente ha ordinato un piatto di spaghetti all’astice, mentre la sua amica ha optato per degli gnocchi con vongole e gamberi. Le foto condivise mostrano piatti davvero invitanti. A completare il pasto, un polpo grigliato accompagnato da verdure tra le quali si intravedono zucchine e melanzane grigliate ed un’insalata. Il tutto è stato abbinato ad un vino Greco di Tufo ed una bottiglia di acqua. Lo scontrino segnava 91 euro.
Il post ha subito fatto il giro dei social, scatenando un acceso dibattito sul costo della cena in relazione alle portate.
Alcuni utenti hanno giudicato il prezzo un po’ alto, mentre altri lo hanno considerato relativamente basso, tenendo conto che la coppia ha comunque ordinato piatti a base di pesce in una città come Napoli che attira milioni di turisti ogni anno e che, certamente, calibra la propria offerta culinaria anche in base alla domanda.
Un commento ironico, fatto da parte di un utente, si è concentrato sul vino: “Con tutta quella roba un solo calice di Greco in due?“. C’è da dire, però, che i piatti ordinati erano tutti di grande qualità e caratterizzati da un sapore che, certamente, i due hanno apprezzato. Il capoluogo campano e’ asserragliato da un aumento dei prezzi trasversale, discreto ma irreverbile. Binariamente ad un’inflazione galoppante, uno spropositato aggravio dei prezzi relativi alle locazioni, alla materia prima ed all’energia: dello scontrino in questione non trapela il fatto che sia numerato, ergo identificativo dell’Iva versata o meno, tuttavia e’ realta’ consolidata, a Napoli e non solo, pagare i dipendenti con una parte in nero. In base ad un recente colloquio con un cameriere ultracinquantenne, che ha parlato con Adfnews.it quotidiano nazionale di approfondimento, emerge che il suo datore di lavoro gli paga 1800€ netti mensili. Nella fattispecie si tratta di un ristorante molto quotato del quartiere piu’ elitario della capitale del sud, che gli paga 1400€ al mese cariche di tasse e contributi, mentre altri quattrocento Euro glieli porge sotto banco, al fine di rimanere con liquidita’ verso fornitori, tasse indiretti, ed attivi societari. Tale questione accomuna molteplici realta’ produttive italiane, tra fallimenti quotidiani e biasimi popolari e non, di ipotetiche speculazioni. Anche se le grandi metropoli italiche sciorinano prezzi elevatissimi, ovunque in Italia, Milano, Roma e Napoli comprese, persistono esercizi commerciali dai prezzi calmierati, anche se per lo piu’ periferici. E rispetto all’esortazione risalente ad alcuni anni addietro, di Flavio Briatore che reclamava la creazione in Italia di luoghi predisposte per plutocrati che possano spendere anche centomila euro giornalieri, per rilanciare il paese; ebbene citta’ di questo tipo non sono state edificate, anche per rispetto della Costituzione, ma sporadicamente sussistono locali e zone franche dal punto di vista dei prezzi, che spezzano per il Bel Paese, il modello vigente basato sui prezzi crescenti. Infatti Londra presenta colazioni mattutine al prezzo medio di 50€ per coppia in locali di buon livello. Dubai e New York sono oramai inaccessibili per la classe media addirittura. A Napoli ed in Italia lo stato non sta praticando l’Iva ridotta oppure nulla come dovrebbe, sui beni alimentari, per cui anche i ristoranti debbono scaricare questi aggravi sulla clientela. Nonostante cio’ rimangono innumerevoli, i ristoratori italiani e perfino i pizzaioli napoletani, a produrre fatturati piu’ alti di piccole e medie imprese, con i loro apprezzatissimi e ben pubblicizzati prodotti. Ad ogni modo la speculazione si annida a Napoli e non solo, nel settore gastronomico e dell’alimentazione in generale, in cui variegati produttori che hanno mantenuto i prezzi antecedenti alla crisi Covid, hanno diminuito la quantita’ di materia prima nei piatti. Esempio lampante di cio’ attiene, mutatis mutandis, alla multinazionale francese Nestle’: essa per i celeberrimi Twix, ha ridotto molto le dimensioni, riuscendo a mantenerne invariato il prezzo. Ad ogni modo in questo scenario geoeconomico che prescrive cesure di prestiti e finanziamenti per piccole e medie aziende italiane, Roma rintuzza queste intenzioni vedendo un’espansione del settore della ristorazione e del turismo, sopratutto in certe condizioni, contesti e modalita’: uno fra essi e’ Napoli con la Campania dove mozzarella, pizza, specialita’ di mare, rappresentano un settore trainante e tornato in modo perentorio di moda, tra turisti, italiani e cittadini locali. Napoli purtroppo, denunciano discretamente gli accoliti del giornalista Francesco Amodeo esponente anche del partito “Liberta’ “, sta legiferando con Manfredi delle norme che privatizzano ulteriormente i servizi comunali e le aziende partecipate; il che’ si tradurra’ con tariffe maggiorate per la comunita’, gabelle indirette maggiori per gli esercenti, i quali riscontrano un incremento dei controlli per la riscossione di tasse locali. Tutto cio’ in un panorama di stretta osservanza delle prescrizioni europee che, in Italia, caldeggiano per ulteriori privatizzazioni dei servizi pubblici con specifiche focalizzazioni verso sanita’, universita’, porti, spiaggie, banche. Di conseguenza Napoli e’ destinata a subire un ulteriore, definitivo, innalzamento dei prezzi e dei costi, in spregio al diritto costituzionale di fruire gratuitamente di beni statali e garantire risparmi per tutti. A causa della direttiva Bolkestein introdotta dall’Europa, le concessioni statali e comunali dovrebbero tosto andare all’asta, a detrimento dei piccoli e medi imprenditori locali e nazionali, che dovranno vanamente superare le offerte di fondi di investimento, banche commerciali forestiere, le quali riuscirebbero ad assicurare affitti piu’ elevati per l’erario ed un superiore gettito fiscale, ma in cambio aumenteranno ancora i prezzi finali.
Nello scenario futuro che tange la capitale del sud in base ai dogma continentali, si evince l’intento di rendere omogeneo, il territorio campano ed italiano in generale, al paradigma lussuoso che permea Dubai e fette crescenti, di terre votate al turismo ed agli affari; ma tutto cio’ sferza la Costituzione che subordina le attivita’ private, ai diritti pubblici di accesso a beni e servizi senza depauperarsi, cosi’ le categorie di piccole e medie imprese trasversali che garantiscono introiti fiscali necessari al funzionamento del sistema Italia, sono sul piede di guerra per difendere i propri interessi lavorativi ed economici. Ovvero il mantenimento del controllo statale nel non mettere all’asta le concessioni ne’ aumentare le imposte od i canoni di affitto. Frattanto con l’approvazione dell’Autonomia differenziata senza accordarsi sull’entita’ dei Lep-servizi e prestazioni garantite-il meridione ed il centro dovranno forzosamente attingere da risorse aziendali limitrofe e tasse ai cittadini, la liquidita’ necessaria al proseguimento dei servizi come asili nido, sanita’, uffici pubblici, scuole, universita’, ai propri residenti. Tutto cio’ si rivelera’ un ulteriore fardello su Napoli ed il meridione, che attualmente stanno attraendo maggiori capitali industriali, ma con imposte versate in maggioranza al nord ed all’estero, in base alla normativa sulla sede legale che sovente non coincide con quella commerciale. E se in Calabria non figurano aziende di caratura nazionale con i conseguenti nocumenti per le casse comunali e statali, da Napoli gli ex collaboratori di de Magistris asseriscono che essa sarebbe finanziariamente autonoma se i contributi locali pagati dalla collettivita’ non afferissero in guisa principale a Roma per tornare ridimensiomati ed insufficienti al fabbisogno cittadino. In Italia infuria una guerra carsica in cui tutte le imprese, anche grandi, sono onerate da tasse, inflazione e cesura di sussidi, per cui gli impiegati vengono retribuito in maniera inidonea a svolgere con un unico lavoro, un tenore di vita dignitoso ed i prezzi per mantenere in vita l’intero sistema, sono alti e inesorabilmente crescenti, dunque le prospettive, con il vigente quadro normativo di matrice anglosassone, si palesano infauste. E peggiorate dall’assenza di una banca centrale nazionale a garantire debito pubblico, privato, investimenti aziendali, acquisti privati e servizi nonche’ infrastrutture pubblici. E a causa di tutto cio’ che Napoli si conferma capofila di dissenso fiscale nel Bel Paese, il che’ non collima con il tasso di evasione, mentre l’Italia intera si contrassegna come paese europeo con la maggior fronda all’Euro ed all’Unione Europea. Nonostante il parlamento comunitario continui a persuadere la popolazione italiana e non, ad un congiungimento militare, fiscale, giuridico, fra tutte le potenze egemoni del Vecchio Continente, l’Italia ospita il maggior numero mondiale di siti, tv e piattaforme digitali specializzate in controinformazione, enfatizzando l’anelito popolare di autonomia bancaria, valutaria, fiscale, monetaria e legislativa, rispetto agli altri continenti. Ecco una cagione che vede Uber impossibilitato ad operare su tutta la penisola italiana, ostracizzato in modo coriaceo e reiterato, esattamente dagli autisti napoletani, seguiti a ruota da quelli romani. Anche se la maggioranza degli italiani appoggia una Europa comunitaria e federale, ma in cui gli stati nazionali agiscano in base ad accordi commerciali e doganali, anziche’ sotto un’unica regia di potere e norme.
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