Messina Denaro Indigna Pino Aprile, I Meridionalisti E Gli Italiani: Ecco I Soldi

Foto Imago Economica ©️

E’ stato finalmente catturato l’ultimo tra gli storici e principali esponenti della Mafia: la storia di Matteo Messina Denaro è stata anche una storia di amori e relazioni. All’inizio fu Andrea, una giovane austriaca che gli aveva fatto perdere la testa. Poi è arrivata Francesca, che al superboss ha dato anche una figlia. E tra una storia e l’altra nella vita del padrino ha fatto irruzione Maria Mesi, la donna che forse di più ha contato nella sua vita e che è stata anche condannata per favoreggiamento, dopo averlo ospitato e accompagnato durante la latitanza. La presenza di tante donne traccia già il profilo di un “padrino moderno” che, almeno nella vita privata, ha segnato una forte discontinuità con il sistema di valori familiari e sentimentali della mafia tradizionale. Tuttavia i meridionalisti capeggiati dallo scrittore e giornalista Pino Aprile e collocati nelle proprie seguitissime pagine social, aborriscono la narrativa di questa incarcerazione, biasimando gli appoggi all’interno della Sicilia e di Palermo, dati al supercriminale, sotto l’egida e la regia della politica di Roma e del governo delle forze militari, di polizia e delle giustizia.

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Si riscontra un profluvio di insulti ed indignazioni, dai social, per una vittoria “ipocrita” dello stato decantata dal presidente del Consiglio, in seguito ad una latitanza definita fittizia, ad una forza criminale ormai stroncata ed un’operazione pubblicitaria dinanzi al calo di proseliti del governo. Cosi’ si rimprovera alla politica un arresto pleonastico che comportera’ un sostegno medico a Messina Denaro con chi ironizza anche su una sorta di pensione e letto che lo stato garantira’ a tale assassino ormai impotente ed ininfluente.

“Sei la cosa più bella che ci sia”, recita il messaggio che Messina Denaro aveva indirizzato alla “sua” Maria affidandolo a uno dei “pizzini”, intercettati dagli investigatori. L’ultima primula rossa di Cosa Nostra fu condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia; e per le stragi del ’92 che stroncarono la vita di Falcone e Borsellino, i magistrati piu’ iconici d’Italia.

La latitanza di Messina Denaro e’ durata trent’anni. Il capomafia risulta visibilmente ingrassato rispetto alle ultime foto disponibili risalenti a qualche anno fa ed era ricoverato in una clinica di Palermo, da cui e’ uscito ammanettato con occhiali, cappellino ed abbigliamento modesto.

L’ultima “primula rossa” di Cosa Nostra, 60 anni, è stato condannato all’ergastolo per decine di reati, tra i quali gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.

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Enfant prodige del crimine, destinato per legami di sangue ad assumere un ruolo in Cosa nostra, ha sempre amato sparare. A 14 anni sapeva maneggiare le armi, a 18 ha commesso il primo omicidio. “Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero”, aveva confidato a un amico. In linea con la strategia stragista dei corleonesi, ai quali, come suo padre, resterà sempre fedele alleato, è coinvolto in molteplici reati. Un ruolo, quello di Messina Denaro emerso solo quando la Procura di Caltanissetta, che ha riaperto le indagini sugli attentati, ha chiesto la custodia cautelare per il boss di Castelvetrano e a ottobre del 2020 lo ha fatto condannare all’ergastolo. Secondo gli investigatori sarebbe stato presente al summit voluto da Riina, nell’ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi i due magistrati.

I pentiti raccontano, poi, che faceva parte del commando che avrebbe dovuto eliminare Falcone a Roma, tanto da aver preso parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi organizzati per l’attentato. Da Palermo, però, arrivò lo stop di Riina. E Falcone venne ucciso qualche mese dopo a Capaci. Un ruolo importante “Diabolik” lo ha avuto anche nelle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Imputato e processato è stato condannato all’ergastolo per le bombe nel Continente.

La sua latitanza è cominciata a giugno del 1993. In una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, aveva preannunciato l’inizio della vita da Primula Rossa. “Sentirai parlare di me – le aveva scritto- facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”.

Il padrino trapanese nella sua carriera criminale ha collezionato decine di ergastoli. Riconosciuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989, l’ultima condanna per mafia è a 30 anni di reclusione in continuazione con le precedenti. Il tribunale di Marsala per la prima volta gli ha riconosciuto la qualifica di capo nel 2012. E una pioggia di ergastoli il boss li ha avuti anche nei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su una serie di omicidi di mafia commessi tra Alcamo, Marsala e Castellammare tra il 1989 e il 1992.

Soldi, tantissimi soldi. Quantificare il tesoro di Matteo Messina Denaro è difficile anche per gli investigatori. Ma una stima, per difetto, dei guadagni di una vita di traffici di droga, estorsioni, riciclaggio nei settori più disparati,si può azzardare sulla base di quel che lo Stato, negli anni, è riuscito a sottrarre al padrino di Castelvetrano e ai suoi prestanome. Si parla di quasi 4 miliardi di euro.
Una parte della fortuna è stata accumulata con investimenti nelle rinnovabili, in particolare l’eolico, settore “curato” per il boss dall’imprenditore trapanese Vito Nicastri, l’ex elettricista di Alcamo e pioniere del green in Sicilia, che per anni avrebbe tenuto le chiavi della cassaforte del capomafia.

Poi c’è l’edilizia e la grande distribuzione, attraverso la ‘6 Gdo’ di Giuseppe Grigoli, il salumiere diventato in poco tempo il re dei Despar nell’isola al quale furono sequestrati beni – di proprietà del boss secondo i magistrati – per 700 milioni.
E il turismo: ci sarebbero stati i soldi del capomafia, secondo i pm, nell’ex Valtur, un colosso del valore di miliardi di proprietà di Carmelo Patti, l’ex muratore di Castelvetrano divenuto capitano d’azienda che, come Al Capone, finì nei guai per un’accusa di evasione fiscale. Braccio destro di Patti, raccontano le inchieste, era il commercialista Michele Alagna, padre di una delle amanti di Messina Denaro, Francesca, che al boss ha dato una figlia mai riconosciuta. Nel 2018 il tribunale di Trapani gli sequestrò beni per 1,5 miliardi, una delle misure patrimoniali più ingenti mai eseguite, disse la Dia. I sigilli vennero messi a resort, beni della vecchia Valtur, una barca di 21 metri, un campo da golf, terreni, 232 proprietà immobiliari e 25 società.

Sempre per restare nel turismo l’ombra di Matteo, raccontano le inchieste, si allungherebbe anche dietro al patrimonio di Giovanni Savalle, per anni un signor nessuno con piccoli precedenti per reati fallimentari, ragioniere iscritto all’albo dei commercialisti divenuto proprietario del resort Kempisnky di Mazara del Vallo. La Finanza gli sequestrò 60 milioni. A parlare dei rapporti tra Savalle e il capomafia di Castelvetrano fu il medico affiliato alla ‘ndrangheta Marcello Fondacaro, che ha raccontato di un progetto imprenditoriale del boss trapanese: un villaggio a Isola Capo Rizzuto che prevedeva la partecipazione al 33% di Cosa nostra e ‘Ndrangheta.
I tentacoli di Messina Denaro sarebbero arrivati anche in Venezuela, regno dei clan Cuntrera e Caruana che da Siculiana, paese dell’agrigentino, colonizzarono Canada e Sudamerica diventando monopolisti del narcotraffico. Un pentito “minore”, Franco Safina, raccontò che Messina Denaro aveva un tesoro in Venezuela creato investendo 5 milioni di dollari in un’azienda di pollame. Per gli inquirenti un evidente escamotage per riciclare i proventi del traffico di stupefacenti. E di Venezuela parlò anche il collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli, il killer di don Pino Puglisi. Ferito in un attentato, si era nascosto ad Alcamo, nel trapanese. “Se vuoi, per un certo periodo te ne vai in Venezuela e stai tranquillo”, gli avrebbe detto il padrino che, sospettano gli inquirenti, in Sudamerica come pure in Tunisia, sarebbe andato anche da latitante.
Ma se, come sono certi i magistrati, solo una parte del tesoro del padrino è stata trovata e confiscata, a quanto ammonta il suo patrimonio?

Le ricchezze illecite ancora da scoprire sarebbero enormi. A partire dai soldi che gli sarebbero stati affidati da Totò Riina. “Se recupero pure un terzo di quello che ho sono sempre ricco”, diceva il capomafia corleonese, intercettato, parlando durante l’ora d’aria con un altro detenuto. “Una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Messina Denaro. Però che cosa fa per ora questo Matteo Messina Denaro non lo so. Suo padre era uno con i coglioni” , spiegava all’amico mostrando una qualche diffidenza sulla capacità gestionale del boss trapanese. E rivelando che parte del suo patrimonio potrebbe essere stato affidato proprio agli alleati di Castelvetrano.

Vocabolario

*Proseliti: voti, appoggi.

*Biasimando: condannando.

*Aborriscono: rifiutano con forza.

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