Meridionalisti e sicilianisti: organizzazione antilega

Di Pino Aprile


Prove tecniche di ripartenza politica nazionale da Sud (ed è una novità), per riequilibrare il Paese o sancirne la divisione; con uso, fuori tempo e fuori confine, di milazzismo (dal nome del politico siciliano, Silvio Milazzo, che tentò un’azione forte e autonomista dell’isola).
Premessa e conclusione: ai non siciliani, i politici dell’isola (e non solo loro) rammentano che la Sicilia è “un’altra cosa” ed i canoni “continentali”, passato lo Stretto, assumono pesi e significati diversi. Ma quasi mai gli interlocutori “italiani” pigliano sul serio la cosa, ne tengono conto (siamo o no, tutti “eccezione”?) e cercano di capirla davvero. Il che poi ha conseguenze, nel senso che è come parlare la stessa lingua, ma con parole uguali che indicano cose differenti o non del tutto sovrapponibili. Questo, però, vale pure all’incontrario, quando i siciliani entrano negli equilibri “oltre lo Stretto”, portandosi appresso come strumento per rapportarsi con gli altri, i loro pesi e le parole non coincidenti. Il che ha conseguenze (di nuovo), perché, in un caso e nell’altro, si parla chiaro, ma non ci si comprende.
Ed ora vediamo di capire quanto e se tale asimmetria abbia condizionato e condizioni l’iniziativa del Movimento “Sud chiama Nord”, di Cateno De Luca, che ha ottenuto un lusinghiero 25 per cento alle elezioni siciliane (8 parlamentari regionali, insieme a quelli di “Sicilia vera”) e conquistato, con gli stessi voti, una senatrice ed un deputato nazionali.
Appuntamento svolto a Roma, il 3 ed il 4 marzo, con i rappresentanti di 35 gruppi politici di tutta Italia. Incontro preceduto da colloqui molto franchi ed anche produttivi: per esempio, in seguito a quelli con il segretario nazionale del Movimento per l’Equità Territoriale (il parlamentare europeo Piernicola Pedicini, e me), nel simbolo di “Sud chiama Nord” la scritta “per le autonomie” (sicura fonte di brutti equivoci, considerata la campagna leghista per l’Autonomia differenziata da rapina padana), era stata sostituita con la più inclusiva “per l’Equità territoriale”. Il che dimostra la duttilità e la disposizione all’ascolto di Cateno De Luca. Gli avevamo fatto notare l’impossibilità di allargare sino ad esponenti leghisti; la difficoltà di coesistere con il Movimento di Letizia Moratti, nota per le sue tesi lombardo-centriche che manco la Lega (vedi quanto fece contro la scuola del Sud, da ministra all’Istruzione o la pretesa, durante la pandemia di covid, di privilegiare, a spese di tutti, si capisce, l’assistenza ai lombardi e solo dopo, a scalare secondo il reddito, ai terroni morti di fame); ma, soprattutto, il rischio che, includendo tutto ed il contrario di tutto (da Sgarbi a Mastella, Moratti, eccetera), si perdesse il valore meridionalista e di novità della coalizione. Riconosciuta a De Luca ed alla sua squadra l’eccellente capacità organizzativa, non c’è dubbio che il successo dell’ex sindaco di Messina sia in gran parte dovuto al fatto di essere fuori dal circo dei partiti intercambiabili che hanno (s)governato la Sicilia. Certo, De Luca costruisce anche con pezzi del vecchio, ma l’idea di novità resta, finché il vecchio non diviene preponderante e il nuovo non si riduce a taxi per riciclare gli scarti dell’usato.

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Cateno De Luca è bravissimo a tenere insieme i diversi, ma applicare il metodo fuori dalla Sicilia non dà gli stessi risultati, anzi, potrebbe rivelarsi controproducente. E lo si è visto a Roma dove, fra i convenuti, c’era di tutto: da esponenti di gruppi meridionalisti più radicali, all’ex presidente della Lega Nord ed ora di Grande Nord, Angelo Alessandri, che ha raccontato, con la nostalgia dei reduci, di quando con Bossi andavano a scrivere nottetempo sui muri. Già, e sappiamo pure cosa! E mentre altri, in commissione per il manifesto politico, inveivano, schifati, contro i meridionalisti piagnoni (uno per tutti: il populista Pino Aprile; detto più volte, perché “arrivasse”), Adriana Poli Bortone, ex ministra e ottima sindaca, una carriera tutta a destra, era costretta a far notare che nella bozza di documento “comune” si chiedeva piena attuazione del Titolo V della Costituzione (quello stuprato dal governo Pd nel 2001 e grazie al quale, la Lega ed il Pun, il partito unico del Nord, rivendicano l’Autonomia differenziata): roba che Roberto Calderoli firmerebbe subito! Certo, le cose poi vanno discusse, possono esser cambiate, aggiustate, ma ad alcuni il punto di partenza è parso così lontano da un compromesso accettabile, che si son detti subito indisponibili a proseguire. C’è chi lo ha fatto con eleganza e chi no… Gli esponenti del Movimento per l’Equità territoriale hanno correttamente riferito al direttivo, che ha deciso di non continuare nella ricerca di un percorso comune. Resta la stima per De Luca, ma l’incompatibilità è politica, grave, con parte della compagnia; il progetto è magari tecnicamente ben fatto, ma la visione scarsa o confusa (almeno a parere del nostro direttivo), concentrata sul mezzo e poco chiara sul fine (ci si sbaglia? Può essere, ma così la si pensa). Metter insieme i diversi, addirittura opposti, ha illustri precedenti in Sicilia: il deputato regionale Silvio Milazzo, Dc, a fine anni Cinquanta, divenne presidente contro il candidato del suo partito, con i voti del Pci e del Msi (d’accordo i capi nazionali Togliatti ed Almirante). Fu “Rivolta siciliana”, si disse, “nel superiore interesse” dell’isola. Anni dopo, in seguito ad uno scandalo, la Dc riuscì a riprendere le redini della Regione ed a ripristinare la guida “nazionale” delle faccende locali (tre giorni fa, la Cassazione ha confermato la non colpevolezza dell’ex presidente Raffaele Lombardo, autonomista che, una decina anni fa, dovette dimettersi, accusato di concorso esterno con la mafia. Assolto quindi, ma stagione politica chiusa ed irrecuperabile).
Cateno De Luca sembra far qualcosa di simile al milazzismo; ed in Sicilia, è dimostrato che può riuscire, perché la territorialità (intesa quale identità geografica, culturale, linguistica, storica) prevale sugli schieramenti ideologici, politici. Insomma: si è prima tutti siciliani, e solo poi di destra, di sinistra, eccetera. E conta stare “da siciliani” dove si decide e si comanda: arrivarci, poco importa come, usando i partiti come meri strumenti (altissimo il numero dei “trasferimenti” da uno all’altro). Lo dico diversamente: nella comune identità territoriale, quasi tutto il resto è barattabile (estremizzo i concetti, per renderli più chiari).
Esportare questo oltre lo Stretto, però, non pare avere le stesse possibilità di funzionare. E alcuni mal di pancia visti a Roma e subito dopo lo dimostrerebbero. Perché? “Nel continente”, il collante territoriale non gioca a favore dello stare insieme “nonostante tutto”, ma contro. La Sicilia unisce i siciliani contro il continente, perché è patria per tutti loro; l’Italia è patria debolissima, per alcuni non è patria e talvolta è nemica: per i veneti, la patria è il Veneto; per tanti a Sud, la Padania è patria dei nemici e dei razzisti della Lega Nord; per molti nelle regioni settentrionali, il Sud non è patria e manco Roma lo è (Roberto Calderoli spiega la sua formazione politica e identitaria con le parole di suo padre: «Bergamo nazione. Tutto il resto è meridione», pure Milano). E questo vale non solo per l’identità geografica, ma culturale, storica, linguistica, persino gastronomica, in un “noi” e “loro” continuo.

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Significa che il mosaico da comporre da questa parte dello Stretto ha tessere più complesse e non combacianti; che metter insieme meridionalisti convinti e leghisti che sul razzismo anti-terrone hanno campato e campano non è una somma, ma una sottrazione; significa che le inclinazioni politiche (di destra, di sinistra) contano più della territorialità spesso inesistente e talvolta ostile (solo un forte meridionalismo di radice culturale e storica, per esempio, fa convivere il Movimento guidato dall’ex missina Poli Bortone, con altri di matrice sinistrorsa).
Il milazzismo è figlio della sicilianità; passato lo Stretto, può divenire un handicap. Cateno De Luca è bravissimo, la sua squadra efficiente; ma se in Sicilia gli opposti convivono nell’abbraccio della comune insularità (vista solo come propria: non si condivide quasi nulla con la Sardegna, per dire, e viceversa), “in continente” le identità non si sommano, ma si elidono contrapposte. Tanto che: o i leghisti, o i meridionalisti, per far l’esempio più facile. Né basta, perché le identità politiche (destra/sinistra) e storico-culturali sono forti e conflittuali e possono coesistere solo in un maggior comune sentire (in Sicilia, l’identità territoriale, oltre lo Stretto il meridionalismo). L’aggregazione indiscriminata di gruppi al solo scopo di fare massa votante, indipendentemente dai colori e dalle storie, quindi, di qua dallo Stretto ha respiro corto. L’isola unisce contro il continente, che si divide sulla storia di ieri e la politica di oggi. Nell’isola, riunire gli opposti è possibile e, per la coesione identitaria, la somma è aritmetica: (2)+(1)=3; da questa parte dello Stretto, la somma degli opposti diventa algebrica: (2)+(-1)=1.
Ma il viaggio intrapreso da Cateno De Luca è interessante, e lui un vulcano. La strada è lunga e la possibilità che i percorsi tornino a incrociarsi, resta alta; ma per ora, se qualcuno ha bisogno di più organizzazione, qualche altro ha bisogno di più ampia visione. È vero che la gente vuole i treni in orario, ma anche una destinazione. Il futuro non può essere solo puntuale.

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