Di Giuseppe Conte
LETTERA A MARCO TRAVAGLIO, DIRETTORE DEL “FATTO QUOTIDIANO”
Gentile direttore, nel suo editoriale di ieri, ragionando sullo “scontro istituzionale” tra la premier Meloni e il presidente De Luca, mi ha contestato di avere dato della “vendicativa e rosicona” alla presidente del Consiglio, stigmatizzando la reazione di Meloni, ma non l’azione di De Luca che l’ha scatenata. Il rischio – secondo la sua ricostruzione – è che io possa finire associato a tutti coloro che nei talk show si stanno prodigando a dare lezioni di bon ton istituzionale, con il risultato di indurre a credere che “sia stata la Meloni a dare dello stronzo a De Luca, e non viceversa”. Insomma avrei perso un’occasione per “dare una lezione di stile a De Luca, alla Schlein e soprattutto alla Meloni, che in pandemia [mi] aveva chiamato “criminale”. La conclusione del suo ragionamento è stringente e fila logica: il doppiopesismo finisce per rafforzare Giorgia Meloni. Su questa conclusione mi trova d’accordo. Anche per questo non ho mai smesso di condannare quella gelatinosa ipocrisia che spinge a gridare allo scandalo per alcune decisioni del governo attuale anche in quei casi in cui il centrosinistra in passato per anni ha fatto le stesse cose, in base alle medesime logiche. Un esempio su tutti (per tacere del premierato e della separazione delle carriere dei magistrati): il sit-in sulla Rai a cui non ho partecipato. Non condivido infatti gli atteggiamenti pregiudiziali di certa sinistra che ritiene che quando occupa essa militarmente la Rai – e anzi, per farlo ancor più chirurgicamente, introduce la riforma del 2015 – va tutto bene, mentre quando Meloni va al governo ed applica la medesima legge voluta dal Pd renziano, non va bene per principio.
Faccio questo esempio perché mi fa ancora sorridere il suo editoriale in cui invitava il Pd, che aveva convocato quel sit-in, a proclamare piuttosto un sit-out, con invito a mollare la “presa” sul servizio pubblico ed a rimangiarsi le centinaia di nomine suggerite negli ultimi lustri. È per questo che, di fronte alle degenerazioni di “TeleMeloni”, piuttosto che fingere stupore di fronte al controllo del governo di turno sulla tv, stiamo lavorando affinché questa sia l’ultima legislatura in cui i partiti facciano sentire la loro pressione diretta sulla Rai.
Subito dopo le elezioni si svolgeranno gli Stati generali della Rai, promossi dalla presidente della commissione di Vigilanza, Barbara Floridia, e vedremo chi davvero vuole i partiti fuori dal servizio pubblico e si batterà con noi per un reale pluralismo informativo. Non sono però d’accordo sulle premesse del suo ragionamento. In particolare, non ritengo di avere usato due pesi e due misure nel valutare l’azione di De Luca e la reazione di Meloni. I due comportamenti di De Luca e Meloni non sono sullo stesso piano. Le parole di De Luca verso la presidente Meloni risultano senz’altro offensive ed inaccettabili, ma sono state pronunciate in un contesto riservato, mentre l’interessato non pensava di essere ripreso in un video che poi è stato fatto circolare. Quella imprecazione era anche il frutto della frustrazione rimediata dopo una giornata di protesta condotta dal presidente regionale insieme a centinaia di sindaci della Campania venuti a Roma per difendere i fondi al Sud.
Non oso pensare quanti insulti potrebbero essere rubati, con lo stesso metodo, a Giorgia Meloni, visto che anche pubblicamente mi ha dato del “criminale” in pandemia, come Lei ha ricordato.
Direttore, non mi fraintenda: non sto giustificando il presidente De Luca. Quando esce un video – pur rubato con epiteti di quel tipo contro il presidente del Consiglio-devi solo scusarti e fare ammenda insieme al tuo partito. D’altronde De Luca sul piano verbale si è mostrato spesso incontinente. Non condivido assolutamente quegli atteggiamenti. Proprio pochi giorni fa ho stigmatizzato le parole di De Luca che sbeffeggiava don Patriciello. Ma lo show di Meloni a me sembra totalmente diverso. Appare all’evidenza premeditato, costruito a favore di telecamera per farne spunto di campagna elettorale sui giornali e sui social. L’occasione, però, era quella di una solenne cerimonia pubblica: non erano di fronte “Giorgia” e “Vincenzo”, ma era il momento in cui il presidente del Consiglio incontrava il presidente della Regione Campania per un’inaugurazione a Caivano. Che messaggio è stato veicolato da un’alta carica dello Stato ai ragazzi ed ai cittadini che vivono in un territorio così problematico ed attendono segnali precisi? Gli si è detto che anche ai più alti livelli istituzionali si possono scambiare e rilanciare epiteti ed imprecazioni, vendicandosi a favore di telecamera? Possiamo mai apprezzare la prova di “forza” e di “coraggio” così mostrata da un presidente del Consiglio?
I cittadini che affogano tra mutui e bollette – anche a Caivano – forse apprezzerebbero di più una prova di forza e coerenza con le banche che si sono arricchite enormemente senza versare un euro di tasse sugli extraprofitti. Alcuni mesi fa sono ritornato a Palazzo Chigi per portare a Giorgia Meloni la proposta del salario minimo legale. Ero animato dall’unico intento di rappresentare il grido di disperazione di 4 milioni di lavoratori sottopagati che il governo sta ignorando. Non sono stato minimamente distratto da smanie di vendetta in un’occasione ufficiale come quella, in cui al centro dell’attenzione c’erano i problemi dei lavoratori, non le ripicche fra politici.
Per questo, mentre stringevo la mano alla premier, non ho mai avuto la tentazione di esclamare: “Salve presidente Meloni, sono quel ‘criminale’ di Giuseppe Conte”.