Di Rita Lazzaro
A metà ottobre, a Osnago, centro della Brianza in provincia di Lecco, l’80 enne Francesco Lantorno ha ucciso la figlia disabile, Rossana di 47 anni, e poi si è tolto la vita. Padre e figlia abitavano in una palazzina a piano terra presso Osnago.
Entrambe le salme presentavano ferite da arma da taglio.
Il padre potrebbe aver prima somministrato dei farmaci alla figlia per poi ucciderla con un coltello da cucina. La stessa arma che poi avrebbe rivolto contro di sé, togliendosi a sua volta la vita.
Saranno poi le autopsie ad indicare la successione dei fatti e le esatte cause delle morti, ma allo stato purtroppo sembra tutto abbastanza chiaro. Come il movente che ha spinto il pensionato a uccidere ed uccidersi, probabilmente il timore che col tempo, vista anche la sua avanzata età, Rossana non potesse più essere accudita.
Una tragedia che si è consumata poco dopo un’altra, anch’essa con un padre protagonista. Quella che vede il suicidio di un giovane papà che da due anni non aveva più contatti con l’amata figlia. La tragedia si è consumata poche ore dopo il suo compleanno nella casa dove viveva prima della separazione.
«Vado a festeggiare il compleanno alla festa degli Alpini di Volpiano». Sono state le ultime parole che ha detto alla madre ed alla sorella prima di mettere in piedi il piano suicida,invece di andare a brindare con le penne nere di cui faceva parte.
Il 18 ottobre ha compiuto 44 anni: «Era un uomo nel pieno della vita, senza problemi di salute, gioviale e cordiale», così la famiglia lo ricorda. Il 19 ottobre, però, solo qualche ora più tardi si è tolto la vita. Un gesto, si diceva, pensato. Meditato. Del quale ha lasciato una traccia sulle intenzioni, difficile da cogliere a priori, probabilmente qualche istante prima di farla finita: «Ti lascio questi ricordi; portali sempre nel cuore; ti amerò per sempre… Poi starò vicino anche da lontano», scriveva alle 23.24 del giorno del suo compleanno.
Da un anno il giovane padre non lavorava più e dal 2014 il suo matrimonio era finito. Ma aveva superato tutto, tranne la lontananza dalla figlia: quella era la ferita più grave all’anima che non riusciva a rimarginare. A guarire.
Dolore: questo è il filo conduttore tra le due tragedie.
Il dolore insopportabile di un padre nel non sapere come vivrà la figlia disabile quando lui non ci sarà più e il dolore sempre più soffocante di un padre che non vede la figlia da anni.
Ma ci sono anche padri indegni di questo nome come i tanti, troppi che hanno ucciso il loro stesso sangue solo per “spirito di vendetta” verso la donna che ha osato dire “basta” a una storia che, magari, era già finita da tempo.
Come successo coi casi più recenti, ad esemipio quello del giugno del 2020 quando, aLecco, Mario Bressi, un padre di 45 anni strangola i figli gemelli di 12 anni, per poi togliersi la vita. L’uomo, che è di Gessate (Milano) ed era in villeggiatura con i figli, si stava separando dalla moglie: sarebbe proprio questo il movente del delitto. “Cosa ha fatto? Cosa ha fatto?”, ha ripetuto più volte ad alta voce, Daniela Fumagalli, la madre delle piccole vittime, tra le lacrime e abbracciando alcuni amici che l’hanno raggiunta alla caserma dei carabinieri di Casargo (Lecco) per starle vicino. Vendetta contro la ex , lo stesso movente che porterà ad un’altra tragedia avvenuta nel marzo di quest’anno a Mesenzana dove un padre ha ucciso i due figli, togliendosi poi la vita.
L’uomo, 44 anni, era in fase di separazione dalla moglie. I ragazzi avevano 13 e 7 anni. “Non li rivedrai mai più”, le scrisse in un messaggio.
È stata proprio la mamma a scoprire i cadaveri dei suoi due figli, Giada di 13 anni e Alessio di 7, morti nell’appartamento del suo ormai ex marito che, presumibilmente dopo averli uccisi a coltellate, si è tolto la vita.
https://instagram.com/ornella_castaldi?igshid=ZDdkNTZiNTM=
A proposito di vendetta e omicidio\suicidio da ricordare il suicidio di Davide Paitoni.
L’uomo si è tolto la vita nella sua cella del carcere milanese di San Vittore. Il quarantenne era dietro le sbarre per l’uccisione del figlio Daniele di 7 anni, nel giorno di Capodanno.
L’ uomo sgozzò il piccolo, lasciato poi chiuso nell’armadio.
Sul corpo, un biglietto con cui confessava tutto e poi esprimeva “disprezzo” per la ex moglie, che il giorno successivo tentò di uccidere aggredendola fuori dalla sua casa di Gazzada. Paitoni registrò poi un messaggio vocale per il padre, chiedendogli di non aprire l’armadio in cui era nascosto il corpo del bimbo. Poi un disperato quanto inutile tentativo di fuga in Svizzera.
Storie diverse di padri e figli ma tutte con lo stesso epilogo anche se con moventi diversi, da quello più esasperato a quello più becero: l’infanticidio\suicidio.
Storie diverse che portano tutte alla stessa domanda: perché?
1)Cosa porta un padre a uccidere un figlio e poi uccidersi?
A questa ed alle prossime domande risponderà l’avvocato Deborah Bozzetti.
“Quello che porta un padre ad uccidere il proprio figlio o la propria figlia e poi suicidarsi è difficile da comprendere, sia sotto il punto di vista giuridico che psicologico e psichiatrico. Si può solo ipotizzare che in alcuni uomini vi sia un “attaccamento” illogico ed irrazionale verso i propri figli che li considerano come se fossero una vera e “propria parte di loro”. Solitamente questa frase viene usata metaforicamente, ma in questi casi violenti citati il loro pensiero lo crede in modo reale.
Sotto questo punto di vista, se noi pensiamo che se i figli siano parte dei padri, allora si può tentare di comprendere la loro visione.
Il padre non potrà sopravvivere senza una parte di se stesso ed è lo stesso per i figli. Sarebbero legati indissolubilmente.
Per tale ragione, se i padri vengono separati dai figli (per la loro concezione) in modo irrimediabile, nella mente dell’adulto scatta l’istinto di sopravvivenza che gli fa credere che sia meglio la morte dei figli e la propria piuttosto che il distacco fra loro che, sempre secondo la loro logica, porterebbe a pene fisiche peggiori fino alla morte celebrale”.
2)Queste tragedie si sarebbero potute o meglio dovute evitare ed in che modo?
“Non credo che tutte queste tragedie si sarebbero potute evitare.
Molti comportamenti di padri assassiniti non sono visibili o percepibili dagli altri.
Solo in alcuni casi, se si denota un’eccessiva morbosità verso il figlio, sarebbe a mio parere utile portare entrambi da uno psicologo”.
3) E’ corretto parlare di padri nella versione di Medea, visto che gran parte di loro una volta uccisi i figli si toglie la vita?
” Anche in merito alla sindrome di Medea, non tutti i casi la rispecchiano.
Rammento un caso giuridico che è diventato mediatico attualmente ancora in indagini, che sotto il mio punto di vista rispecchia questa sindrome. Si parlava di una madre che aveva ucciso la propria bambina in quanto si era separata dal marito e non riusciva a riallacciare i rapporti. Questo è il tipico caso secondo me, ma non tutti rispecchiano il fatto.
Si può anche affermare che si parla anche di follia umana”.
4) Nel suo percorso professionale le è capitato di affrontare casi simili?
” Nel mio percorso professionale mi è capitato di affrontare casi simili che non sono, per fortuna, finiti in tragedia.
Padri che affermano tali azioni non frequenti ma che le attuano no.
Un caso mi aveva davvero preoccupato, un padre di Savona allontanato dalle figli site a Monza aveva davvero pensato di suicidarsi, ma senza uccidere le figlie.
Contattato lo psichiatra si è occupato lui della vicenda.
Secondo il padre era così dipendente dalle bambine che non poteva vivere senza di esse.
Qui era lui dipendente da loro ma non il contrario. Un caso simile ma diverso”.
5) In che modo le madri che subiscono questo abominio possono affrontare un dolore che va oltre lo stesso?
“Posso dire alle madri che l’unico modo è ascoltare bene i propri figli quando parlano del periodo in cui svolgono il diritto di visita con il padre, di cercare di capire il rapporto padre-figli e nel caso di anomalie, di riferirlo al loro Avvocato od alla loro Psicologa.
In caso di tragedia mi sento di rassicurarle perchè non è causa di nessuno se la mente umana vacilla e diventa folle. Sono atti imprevedibili”.
Atti imprevedibili che lasciano attoniti , disarmati e con un profondo senso di impotenza dove la sola certezza è che a pagare sono sempre loro: piccole vite innocenti stroncate ancor prima di essere vissute da chi avrebbe dovuto proteggerle.