di Rita Lazzaro
Un secondo manifestante, Majidreza Rahnavard, è stato giustiziato questa mattina a Mashhad, in Iran, con l’accusa di aver ucciso due Basiji, componenti della forza paramilitare fondata dall’ayatollah Khomeini. Secondo l’agenzia di stampa della magistratura Mizan, Rahnavard è stato condannato per ‘muharebeh’ (la ‘guerra contro Dio’) per aver accoltellato a morte due Basiji, Hossein Zeinalzadeh e Danial Rezazadeh, e averne feriti altri quattro a Mashhad, nella provincia di Khorasan Razavi, il 17 novembre, durante la rivolta in atto dal 16 settembre, dopo la morte in custodia di Mahsa Amini, accusata di avere indossato l’hijab in modo ‘improprio’.
Il 16 settembre moriva Masha Amini, la 22enne deceduta in ospedale, tre giorni dopo essere stata fermata dallo speciale reparto di polizia che vigila sul rispetto dei costumi privati dei cittadini.La giovane donna è stata vittima di un brutale pestaggio della polizia morale di Teheran per aver indossato “abiti inappropriati”, ossia perché non vestiva “in modo consono il velo”.
Da quel maledetto giorno non si sono fermate le proteste contro il regime iraniano. A volte gettando il velo tra le fiamme di un rogo improvvisato in una piazza od in un incrocio, altre volte in altri filmati si vedono gruppi di giovani, questa volta uomini, che assaltano macchine della polizia o sedi istituzionali. In altri casi ancora i manifestanti con i volti della Guida Suprema e del presidente vengono strappati dai muri e dati alle fiamme al grido di «morte al dittatore!». All’inizio il governo dell’Iran ha scelto di aspettare che l’onda calasse, ma di fronte al diffondersi delle proteste ha scelto di usare, di nuovo, la mano pesante. Proteste guidate da donne che gettano il velo tra le fiamme di un rogo improvvisato; in altri filmati invece si vedono gruppi di giovani, questa volta uomini, che assaltano macchine della polizia o sedi istituzionali.
Una protesta che secondo l’ Iran Human Rights, una ong con sede a Oslo ha portato alla morte di circa 326 manifestanti .
Tra questi da ricordare delle giovani martiri come Hadith Najafi, “la ragazza della coda” diventata simbolo della protesta. La 23enne colpita con sei proiettili al viso e al collo.
Nell’ultimo video che la ritrae prima di morire, Hadith Najafi raccoglie i lunghi capelli biondi con un elastico, sistema la coda e gli occhiali, e nella notte di Karaj è pronta ad unirsi alle manifestazioni in nome di Mahsa Amini. Le forze di polizia sono schierate in gran numero, quel frangente pubblicato fa il giro della rete: pochi secondi che raccontano la determinazione delle donne iraniane.
Tra le giovani vittime da ricordare anche Asra Panahi, 16 anni, uccisa di botte dalle forze di sicurezza iraniane, perché si era rifiutata di cantare l’inno pro-regime che inneggia al leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei. A divulgare la notizia è stato il Consiglio di coordinamento delle associazioni sindacali degli insegnanti iraniani, che ha specificato le dinamiche dell’accaduto: Panahi non è stata la sola a rifiutarsi di cantare l’inno, e le forze di sicurezza hanno picchiato le allieve, portando alcune ragazze in ospedale e arrestandone altre. Venerdì 13 ottobre Panahi è morta in ospedale per le ferite riportate dopo il pestaggio nella scuola.
Per contrastare l’ondata delle proteste le forze di sicurezza iraniane hanno iniziato a irrompere nelle scuole. Secondo le segnalazioni alla stampa gli agenti che hanno forzato l’ingresso nelle aule, hanno arrestato violentemente le studentesse, spingendole in auto in attesa e sparando gas lacrimogeni negli edifici scolastici.
Tra le giovani studentesse c’è anche lei:
Parmis Hamnava assassinata dagli agenti di polizia per una fotografia strappata di Khomeini. Secondo quanto riportato dall’agenzia Haalvsh, sarebbe stata bastonata fino alla morte dagli agenti di polizia dopo che gli stessi, durante una perquisizione dei libri scolastici, all’interno di un suo volume avrebbero scoperto una fotografia strappata di Khomeini. La ragazzina sarebbe stata picchiata in classe, davanti ai suoi compagni, per poi morire più tardi in ospedale. Gli agenti, subito dopo, avrebbero minacciato familiari e testimoni di non restituire loro il corpo se avessero informato qualcuno della morte della giovane.
La lista delle ragazze e dei ragazzi che stanno perdendo la vita in Iran a causa delle violenze da parte delle forze dell’ordine governative continua ad allungarsi. Infatti Parmis Hamnava non è, purtroppo, l’unica vittima recente. Secondo quanto riportano le agenzie, hanno trovato la morte anche due manifestanti adolescenti, del cui decesso sono accusate le forze della sicurezza. Si chiamano Kumar Daroftateh, 16 anni, ucciso da un colpo sparato a distanza ravvicinata durante una manifestazione di protesta nella città di Piranshahr. E Sarina Saedi, anche lei di 16 anni, a sud nella città di Sanandaj.
Nonostante il gran clamore che stanno provocando, le violenze inaudite e le repressioni non si placano. Nella sola capitale Teheran verrano processate più di mille persone per avere preso parte alle proteste.
Per i funzionari della Magistratura iraniana, gli «individui che hanno compiuto azioni sovversive» durante le dimostrazioni, andranno a processo accusati di sabotaggio, aggressione o assassinio di agenti della sicurezza e incendio di proprietà pubbliche. Almeno quattro dimostranti rischiano la pena di morte.
fine novembre, alla lista nera del regime scritta col sangue dei suoi giovani connazionali si aggiunge un’altra giovane vittima: Mahak Hashemi. La ragazza di soli 16 anni viveva a Shiraz insieme al padre e alle due sorelline.
Il 24 novembre, giovedì, è uscita di casa indossando il berretto da baseball al posto dell’hijab, come faceva ormai da settimane per affiancare la rivoluzione. E’ uscita di casa col suo cappellino è non è più tornata.
“L’hanno cercata per due giorni, invano. Fino alla chiamata dell’ospedale”, racconta La stampa. Si chiedeva infine agli Hashemi di recarsi in obitorio per identificare due cadaveri senza nome: uno era il suo. Sebbene la polizia parli d’incidente, la tensione per questa ennesima giovanissima vittima della teocrazia iraniana è al livello di guardia, tanto che, come già accaduto per altri attivisti massacrati di botte dal Kurdistan iraniano alla capitale Teheran, le autorità hanno proibito il funerale a Shiraz”.
Mahak era irriconoscibile per le botte ricevute. Alla famiglia è stato imposto il silenzio: il volto di Mahak era assolutamente stravolto. La schiena spezzata dalle bastonate.
Ad oggi sono almeno 445 i dimostranti che sono stati uccisi dall’inizio della nuova ondata di proteste in Iran, secondo le stime per l’agenzia stampa degli attivisti per i diritti umani, Hrana, che ha sede negli Stati Uniti. Tra le persone rimaste uccise negli scontri si contano 63 minori, e vi sono anche 57 agenti di sicurezza uccisi negli scontri.
Secondo i dati di Hrana, sono state arrestate 18.170 persone, delle quali si conosce l’identità di 3.234. E sono 156 le città grandi e piccole in tutto il Paese in cui si è sviluppata la protesta. Orrore al quale se ne aggiunge un altro come l’esecuzione della prima condanna eseguita su un manifestante. Si tratta dell’impiccagione del 23enne Mohsen Shekari, il 10 novembre, in quanto era stato giudicato con l’accusa di «moharebeh», che in farsi significa «guerra contro Dio», per aver bloccato una strada «con l’intento di creare terrore e uccidere » e aver ferito «intenzionalmente», con un’arma da taglio, un membro della forza paramilitare dei Basij, mentre era in servizio. Secondo la magistratura, l’imputato avrebbe confessato e la sentenza era stata confermata dalla Corte Suprema. La notizia arriva mentre altri detenuti rischiano il patibolo per il loro coinvolgimento nelle proteste, diventate una delle sfide più serie alla teocrazia iraniana sin dalla rivoluzione islamica del 1979. Dopo le oltre 448 persone uccise in strada, il rischio è che molte altre vengano uccise dal boia. Tra gli oltre 18mila manifestanti arrestati, infatti, sono almeno altre 11 le pene capitali già comminate dai tribunali.Vite stroncate per una “guerra contro Dio”.Un Dio che però nulla c’entra con questa carneficina di innocenti.
Secondo autorita’ locali e redattori disallineati, in Iran imperversa un ginepraio che congiunge cellule carsiche pseudoterroristiche, Ong forestiere, strumentalizzazioni dei giovani che inficiano e destabilizzano l’intero tessuto sociale e politico.