di Rita Lazzaro

Il 16 settembre, in Iran, la 22enne Mahsa Amini veniva uccisa dalla polizia morale. La pecca della ragazza? Aver indossato male l’hijab che lasciava intravedere qualche ciocca di capelli, secondo i critici. Un orrore di cui si è venuti a conoscenza grazie a una giornalista, una che si potrebbe tranquillamente definire “donna coraggio”: Niloofar Hamedi, cronista del quotidiano progressista Shargh, che per prima ha raccontato la vicenda ma della quale, in seguito, non si hanno più avuto notizie. La giornalista, infatti, riuscì ad entrare nell’ ospedale dove Mahsa era stata portata, in seguito alle botte subite dalla polizia morale. E proprio in quell’ospedale, la giornalista è riuscita ad intrufolarsi ed a scattare delle foto dove si vedevano i genitori della 22enne mentre si abbracciavano. La cronista ha deciso quindi di pubblicare tutto su Twitter, dando luogo così alle proteste nel Paese.

Da quel giorno il suo account Twitter è stato sospeso e la giornalista, secondo le ultime informazioni rilasciate dal marito, si trova in carcere, sottoposta a quotidiani interrogatori. E chissà cos’altro. Una vicenda che sa di sangue e coraggio.Il sangue delle vittime innocenti ed il coraggio di chi non abbassa la testa. Come Nika Shakarami, la sedicenne Sarina Esmaeilzadeh, la ventenne Haith Najafi. E tanti altri. Tra queste eroine da ricordare Hadith Najafi diventata il simbolo delle proteste.

La ragazza era stata protagonista di un video in cui si legava i capelli senza velo e per questo era divenuta una delle icone della protesta contro il regime teocratico dopo l’ uccisione di Mahsa Amini. La giovane donna sarebbe stata raggiunta da sei colpi di pistola a Karaj. Così hanno confermato altri attivisti e giornalisti locali, che parlano di omicidi.Una donna coraggio seguita dalla morte di altre donne come quella di Asra Panahi. La 16enne frequentava il liceo femminile Shahed ad Ardabil. Secondo quanto riportato dal Consiglio di coordinamento delle associazioni di categoria degli insegnanti iraniani, la ragazza si sarebbe rifiutata di cantare un inno all’ Ayatollah Ali Khamenei come altre compagne di scuola.

Il copione ricorda quanto accaduto a Mahsa Amini. Da ricordare altresì Elnaz Rekabi che ha gareggiato senza il velo e che sarà imprigionata a sua volta al rientro nel suo paese. Secondo la sua famiglia, Rekabi era stata trattenuta dalle autorità iraniane al suo ritorno a Teheran e messa agli arresti domiciliari. Entrambi i fatti sopracitati sono stati smentiti dalle autorità iraniane. A dicembre un altro orrore che ha visto il barbaro omicidio di una 14enne morta a Teheran dopo essere stata arrestata perché si era tolta il velo in classe in segno di protesta, ha destato tanto scalpore quanto smarrimento.

Le forze di sicurezza avevano identificato Masoumeh grazie ai filmati delle telecamere di sicurezza della scuola e successivamente l’hanno portata in caserma. Durante la custodia la giovane era stata violentata per poi essere trasferita in ospedale dove sono state rilevate gravi lacerazioni vaginali e lì è morta. Il gesto dell’ adolescente voleva commemorare Mahsa Amini. Un gesto che l’ ha condannata a un destino amaro proprio come quello della donna ricordata dalla stessa vittima. Una delle tante barbaramente assassinate dalle forze dell’ ordine. Infatti circa un mese prima era stata barbaramente assassinata un’ altra giovane donna iraniana: la 16enne Mahak Hashemi. La sua colpa? Uscire di casa con un berretto da baseball al posto del velo in segno di protesta. Metà del suo volto è stato completamente distrutto dai colpi ricevuti e la schiena è stata spezzata dalle bastonate. I funzionari dell’ IRGC hanno chiesto un grosso riscatto alla famiglia per la restituzione del corpo e ne hanno anche proibito il funerale, pur continuando a parlare di incidente, come già successo con le precedenti vittime.

Vicende che raggelano il sangue e difficili da credere per le loro atrocità, quelle succitate. Storie aberranti che cercheremo di approfondire con l’avvocato Marco Valerio Verni.

1)Avvocato, com’è possibile che esista ancora una polizia morale che, per di più, resta impunita di fronte a simili orrori?

“La risposta alla sua domanda è nella genesi della stessa “polizia morale” di cui stiamo parlando: quest’ultima (Gasht-e Ershad), infatti, istituita nel 2005, ha il preciso compito di far rispettare il codice di abbigliamento per le donne, introdotto all’indomani della rivoluzione islamica iraniana del 1979 che pose fine all’era della dinastia Pahlavi, trasformando la monarchia in una repubblica islamica sciita, la cui costituzione e leggi si basano su una rigida interpretazione della Sharia.

Essa arresta le persone che violano il codice di abbigliamento, secondo il quale le donne devono indossare obbligatoriamente l’hijab (il velo) oltre che abiti lunghi e larghi per nascondere la propria figura.bUna volte arrestate, le conduce in “strutture di correzione” o in stazioni di polizia dove si insegna loro come vestirsi, rilasciandole poi ai loro parenti (rigorosamente uomini), una volta che questi ultimi abbiano assicurato un rispetto rigoroso delle norme e – solo in alcuni casi – dopo il pagamento di una multa (non prevista però dalla legge).

Le donne che non rispettano il codice e che non coprono i loro capelli in pubblico, stando alla legge introdotta dal parlamento iraniano nel 1983, possono essere punite con settantaquattro frustate, e secondo una modifica di recente approvazione, possono avere una condanna fino a sessanta giorni di carcere”.

2) Nel persistere di questa cultura che tratta le donne come oggetto anziché soggetto di diritto, cosa pensa debbano fare i paesi occidentali, noti per il loro senso di democrazia e tutela dei diritti?

“La doverosa premessa è che ogni Stato è sovrano, a casa sua, e pertanto può decidere ciò che vuole per sé ed i suoi cittadini. Detto ciò, però, è chiaro che la comunità internazionale di fronte a palesi violazioni dei diritti umani nelle loro varie accezioni, peraltro lamentate dagli stessi cittadini che ne sono vittime, non può rimanere inerme e deve agire. Certo, occorre anche qui farlo, a seconda della gravità delle stesse, cercando di interpretare bene, innanzitutto, il concetto di “esportare la democrazia” e di non finire, al contrario, nel voler a propria volta inculcare dei modelli che non sarebbero comunque adatti ad una determinata società, come forse accaduto, ad esempio, e per certi versi, in Afghanistan.

Nel caso di specie, sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti hanno applicato delle sanzioni di varia natura all’Iran, ma esse, se del caso, vedranno i loro effetti nel medio-lungo periodo.bD’altronde, lo stesso strumento, ossia delle sanzioni, è stato applicato contro il medesimo Paese, anche per altre situazioni, ed in questi casi pure dalle Nazioni Unite, come ad esempio quelle intese a contrastare le attività di proliferazione nucleare o quelle in risposta all’ uso dei droni iraniani nell’aggressione russa all’Ucraina. Ma, come detto, i risultati, semmai arriveranno, non si vedranno certo adesso, soprattutto per la complessità delle dinamiche sottese a queste tematiche.

E, di certo, quella dei diritti umani non è da meno. Si figuri che, proprio nei giorni scorsi, sempre in Iran, è stato condannato a sette anni e mezzo di carcere per omicidio e ad altri otto mesi per aggressione l’ uomo che, a febbraio dello scorso anno, aveva decapitato la moglie diciassettenne Mona Heidari e ne aveva esibito la testa per strada. La colpa di questa ragazza? Secondo il suddetto, che ne era il marito, il non aver accettato il matrimonio combinato dalla famiglia, che essi avevano contratto quando la giovane aveva solo 12 anni.

E, a quanto pare, la “clemenza” nella sentenza inflitta all’ omicida sarebbe derivata proprio dal fatto che, la suddetta (famiglia della vittima) lo avrebbe graziato per il cosiddetto delitto commesso. Insomma, è complicato: queste, ferme le considerazioni svolte innanzi, sono rivoluzioni culturali che richiedono profondi mutamenti che avvengono nel tempo”.

3)A suo avviso, è stato appropriato cantare bella ciao in tali occasioni o è l’ennesima forma di strumentalizzazione?

” “Bella Ciao”, come ha scritto Carlo Pestelli, autore del libro “Bella Ciao: Il canto della libertà”, è un manifesto per la libertà che racchiude valori apolitici che tutti sono in grado di comprendere e condividere: non è un caso che quest’ultima sia stata utilizzata, a partire dalla Resistenza partigiana italiana, in diverse altre battaglie. Oltre che nella protesta per la morte della giovane Mahsa, il ricorso a questo inno lo si è visto nel canto delle donne combattenti curde in Turchia, in quello dei manifestanti della Umbrella Revolution, nel 2014, ad Hong Kong, mentre sfidavano il governo cinese per chiedere più democrazia, ma anche in Israele, dove a Gerusalemme, nel 2021, gli oppositori del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu, soprannominato “Bibi Netanyahu”, ebbero a cantare “Bibi Ciao” sulle note della canzone in questione; in segno di gioia nella prospettiva che chiudesse il suo mandato. Ancora, in Iraq, nel 2019, quando i manifestanti dell’opposizione si riunivano al canto di “Blaya Chara”, che significa “non uscita” in dialetto iracheno, con la stessa melodia di “Bella Ciao”.Ed è stata utilizzata anche dagli ucraini, contro i russi”.

4) Cosa pensa di quella politica italiana che, oggigiorno, si mobilita per le donne iraniane, ma ha contestualmente abbracciato il rigoroso silenzio sul barbaro omicidio di Saman Abbas?

“Purtroppo è noto come, in Italia, su alcune tematiche si intervenga a vicende alterne, con maggior o minor intensità, o per nulla proprio, ed a seconda di chi sia la vittima e l’aggressore/carnefice del momento”.

5) Come vede l’epilogo di queste proteste? C’ è la possibilità che cambi qualcosa o si continuerà a versare tra dittatura e oscurantismo?

“La speranza è, certamente, che qualcosa possa cambiare. Ma la via, come dicevo, non pare affatto breve. D’altronde, al netto di quanto detto prima, basti pensare che, proprio all’indomani delle prime proteste dopo l’omicidio della povera Mahsa, erano girate notizie, tratte, in particolare, dalle dichiarazioni del procuratore generale del Paese, Mohamad Jafar Montazeri, in un suo intervento di qualche settimana fa, svolto nella città santa di Qom, secondo il quale «La polizia morale non ha niente a che fare con la magistratura, ed è stata abolita da chi l’ha creata».

Ma, di contro, i media hanno subito frenato l’euforia: secondo al Jazeera, infatti, non ci sono conferme sul fatto che il lavoro delle unità di pattugliamento, ufficialmente incaricate di garantire la sicurezza morale nella società, sia effettivamente terminato. Dello stesso parere la tv di Stato iraniana in lingua araba Al-Alam che, chiedendo un commento ufficiale al ministero dell’ Interno di Teheran, ha riferito: Nessun funzionario della Repubblica islamica dell’ Iran ha detto che la Guidance Patrol è stata chiusa. Senza dimenticare che, il 15 agosto dello scorso anno, il presidente Raisi ha firmato un decreto secondo il quale le donne che pubblicano le proprie foto sui social network senza l’hijab sono private di alcuni diritti sociali (ingresso in uffici, banche e trasporti pubblici) per un periodo compreso tra sei mesi e un anno.

Come dicevo, la strada è lunga e tortuosa”.

Una strada lunga e tortuosa, che vale comunque la pena iniziare, percorrere e soprattutto concludere con un solo vincitore: i diritti delle donne.

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