Inno nazionale: de Crescenzo smonta il mito

Di Gennaro de Crescenzo

Nel Giorno della (nostra) Memoria, “MAMELI ROCKSTAR”, LA VERITÀ STORICA E I CONFRONTI (CHE NON FAREMO) CON L’INNO DELLE DUE SICILIE (DI PAISIELLO!).  Qualche giorno addietrob in RAI sono state trasmesse due puntate della fiction ‘Mameli, il ragazzo che sognò l’Italia”. Strana la coincidenza della data (13 FEBBRAIO) scelta da anni come GIORNO PER LA MEMORIA DELLE VITTIME MERIDIONALI DELL’UNITÀ D’ITALIA. Al di là del caso (?), però, due parole sulla scelta e sul personaggio forse sono necessarie con una premessa: possibile che la RAI e la cultura “ufficiale” da oltre 160 anni non sappiano raccontare il “risorgimento” se non con la stessa retorica sabauda del 1860 come se non fossero passati 160 anni e come se in 160 anni non fossero stati realizzati studi documentati ed alternativi in grado di modificare od  integrare quel racconto?

Possibile che non si trovi ancora uno spazio per un’analisi critica di quei fatti che costarono (e per tanti aspetti costano) tanto al Sud dell’Italia? Possibile che vengano (ancora) spesi milioni di euro per una versione storica ormai superata e che ha mostrato tutti i suoi limiti con il successo crescente delle altre versioni (“neoborbonica” in testa) proprio per le numerose censure, bugie, mistificazioni e mitizzazioni? Detto questo, lo stesso personaggio scelto si mostra alquanto “debole”. Parliamo di quel Goffredo Mameli autore dell’inno italiano, definito “rockstar del Risorgimento” dagli autori e, comunque, però, al centro di diversi dubbi storici che la fiction, ovviamente, non evidenzia, preoccupata solo di fare sventolare tricolori e riecheggiare parole e note patriottiche.

Mameli e molti dei protagonisti risorgimentali presenti anche nella fiction, erano massoni (e lo stesso inno- come rivendica la stessa Massoneria- si rivolgerebbe ai “fratelli” massoni).

Lo storico (tutt’altro che borbonico) Aldo Mola contesta la paternità di un inno il cui autore sarebbe stato un sacerdote (padre Atanasio Canata) che in seguito avrebbe sempre poeticamente denunciato il tutto (“A destar quell’alme imbelli/ meditò [Canata] robusto un canto;/ ma venali menestrelli si rapian dell’arpe il vanto”.

Diverse fonti parlano della morte avvenuta casualmente per il ferimento di un suo compagno di armi e non di un nemico (verità che forse incrinava il mito creato).
Non approfondiamo il tema (soggettivo) della bellezza del testo ma qualche dubbio poetico/storico ci assale se pensiamo all’uso antico di tagliare i capelli alle schiave per distinguerle dalle donne libere; al richiamo a quei Vespri siciliani che sancirono non la libertà siciliana ma il passaggio dai francesi agli aragonesi anti-papali; a quel sangue (orridamente) “bevuto” dagli Austriaci fino ai ripetuti appelli alla morte…
Non pretendiamo una fiction sull’autore dell’inno delle Due Sicilie (pure se si tratta di Giovanni Paisiello, uno dei musicisti più famosi del mondo) e non facciamo confronti tra i due inni (come detto, trattasi di Paisiello “contro” Novaro) ma almeno consentiteci, nella TV pubblica, una richiesta: MENO RETORICA, MENO MITI E PIÙ VERITÀ STORICA. È questo l’appello che abbiamo inviato alla RAI ed a RAI Fiction (con la proposta di una produzione su brigantaggio ed emigrazione post-unitaria).

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