Di Rita Lazzaro
L’11 ottobre in occasione della giornata mondiale delle malattie mentali è stata diffusa la storia di Shanti, la 23enne sopravvissuta agli attentati di Bruxelles che ha scelto l’eutanasia perché depressa. Un tunnel che ha inizio nel 2016 fino a esserne divorata al punto da chiedere il fine vita per “sofferenza psicologica incurabile”. “È stata una vita di risate e lacrime. Me ne vado in pace”. Questo è il suo ultimo messaggio.
“Non riesco più a concentrarmi su niente, voglio solo morire”, così continuava a ripetere Shanti De Corte da quando, il 22 marzo 2016, la sua vita era cambiata radicalmente. Quel giorno la ragazza si trovava all’aeroporto di Bruxelles con i suoi compagni di scuola. Erano in gita, la loro destinazione era Roma. Poi, d’improvviso l’inferno, quando i terroristi dell’Isis fecero oltre trenta morti e trecento feriti. La 17enne rimase illesa ma soltanto fisicamente. Da quel maledetto giorno, infatti, nulla sarà più come prima. Shanti passerà sei anni tra ricoveri e antidepressivi, fino a undici pillole al giorno. “Non provo più niente, sono un fantasma”, scriveva sui social, arrivando addirittura a tentare il suicidio nel 2018 e nel 2020, per poi concludere con la richiesta di eutanasia, approvata all’inizio di quest’anno, da due neuropsichiatri.
In Belgio, infatti, l’accesso al fine vita è consentito ai pazienti a cui viene riconosciuta una “sofferenza psicologica costante, insopportabile e incurabile”. Così Shanti si è spenta il 7 maggio scorso, a ventitré anni, circondata dall’affetto della sua famiglia. “È stata una vita di risate e lacrime, fino all’ultimo giorno. Ho amato e mi è stato concesso di sapere cos’è il vero amore. Me ne vado in pace. Sappiate che già mi mancate”, sono state le sue ultime parole, affidate a un post su Facebook. La mamma della ragazza, la signora Marielle, ha detto al canale belga VRT che, da quel giorno del 2016, “Shanti si era spezzata e non era più riuscita a rimettere insieme i pezzi. Non si sentiva sicura da nessuna parte. Non poteva sopportare di trovarsi in luoghi con altre persone, aveva continui attacchi di panico”. Il caso è balzato agli onori della cronaca dopo un servizio trasmesso dalla rete televisiva belga Rtbf. L’emittente ha ricostruito la vicenda di Shanti, chiamando in causa il dottor Paul Deltenre, neurologo dell’ospedale universitario Brugmann che ha contestato l’approvazione della richiesta di suicidio assistito della 23enne, sostenendo che le fossero state offerte altre opzioni terapeutiche. La procura di Anversa ha aperto un’inchiesta sui fatti ma ha poi chiuso il fascicolo, concludendo che il protocollo per il fine vita era stato rispettato.
I contenuti trasmessi da Rtbf hanno generato dibattito nel Paese. Immediata la reazione della famiglia di Shanti, che in un comunicato ha fatto sapere di avere “riserve sul rispetto della deontologia e dell’etica. Inoltre, la relazione contiene diversi errori fondamentali”. I parenti hanno anche chiesto di tutelare la loro privacy e la loro tranquillità. Gli autori della rete hanno risposto che rispettano la posizione dei familiari della giovane e che comprendono la delicatezza della loro storia. “Tuttavia – hanno sottolineato – il nostro team ha cercato più volte di contattarli per intervistarli ed ascoltare la loro storia, ma non ha mai ricevuto risposta. Sono state presentate diverse situazioni ed ognuna è stata esaminata da più angolazioni per spiegare ciò che è accaduto nel modo più accurato, senza giudicare o prendere posizioni contrarie”.
Una storia che ricorda quella di i Noa Pothoven, la ragazza olandese di 17 anni che, una volta che le era stata negata l’eutanasia legale, aveva smesso di bere, mangiare , lasciandosi così morire a casa, sotto lo sguardo dei familiari condiscendenti.
Il motivo di questa condotta estrema?
Una profonda depressione, dovuta alle continue violenze sessuali subite da bambina. Infatti la ragazza, di fronte al rifiuto di sottoporsi ad ulteriori trattamenti per superare la sua depressione, è stata rimandata a casa dove dall’inizio di giugno del 2019 aveva cominciato a rifiutare cibo e liquidi. I genitori, d’accordo con i medici, hanno acconsentito a non ricorrere all’alimentazione forzata. Noa ha usato i suoi ultimi giorni per salutare la famiglia e le persone a lei care. “L’amore è lasciar andare, come in questo caso”.
Traumi che portano la vittima a vivere una depressione così devastante da sembrare “incurabile” e da rendere la morte la sola soluzione possibile.

1)Ma è davvero così?Davvero la depressione è un male incurabile da legittimare la scelta di porre fine alla propria esistenza?
A queste domande e alle prossime, risponderà il professore Carlo Vivaldi Forti:
“A differenza di talune malattie organiche, quelle psichiche non possono mai essere considerate irreversibili. Nella mia esperienza di terapeuta ho assistito a diverse guarigioni “miracolose” , inclusa la ripresa di motilità in persone paralizzate per cause psicologiche, e pure la regressione di gravissime forme schizo-paranoidi, ritenute incurabili dalla psichiatria organicista. La depressione può essere validamente curata con terapie psico-farmacologiche associate, mentre la semplice terapia farmacologica può talvolta non produrre risultati. E’ evidente che il depresso non vede prospettive di guarigione, altrimenti sarebbe di fatto già guarito, ma le persone che lo circondano , familiari , medici od educatori che siano, non dovrebbero mai uniformarsi al punto di vista del malato”.
2) Cosa pensa delle scelte prese da queste due giovani vite, della reazione dei loro familiari ma soprattutto qual è la sua posizione sull’eutanasia legale nei confronti di chi versa in simili condizioni?
“La posizione dei familiari era certo motivata dall’amore e dalla pena, e per questo sono comprensibili. Lo sono meno quelle dei medici e degli specialisti, i quali non dovrebbero mai arrendersi di fronte a una malattia psichica, perché in tal modo ammettono l’impotenza della scienza psichiatrica. Una possibilità di cambiamento esiste sempre e bisogna agevolarla in tutti i modi possibili”.
3)Come si può sconfiggere la depressione anche nei casi in cui sembra un male “incurabile”?
“Lo dirò in tre parole: amore, comprensione, perseveranza”.
4)Quali sono i passi avanti fatti, quali invece gli errori, ma soprattutto quanto ancora c’è da fare per combattere questa piaga umana e sociale?
“La farmacologia ha fatto indiscutibili passi avanti, negli ultimi decenni, ma la strada migliore per curare una malattia dell’anima ( in greco psiche) è mediante l’anima stessa, cioè un’adeguata psicoterapia”.
“Amore, comprensione, perseveranza” valori , a quante pare, sempre più sostituiti dalla mentalità dello scarto che sancisce l’inizio della fine dell’umanità.
A tal proposito vengono slatentizzati dati paradossali che vedono l’Occidente come sede concentrata di patologie depressive, di stress, di frustrazione, di consumo connesso a droghe e psicofarmaci. I giovani risultano in larga percentuale alienati, gravati da problemi di incomunicabilita’ con famiglie, amici e parenti, nonche’ vittime, come gli adulti, di una deriva di analfabetismo funzionale, nichilismo, secolarizzazione davvero esiziali, secondo coloro che analizzano la situazione. Fioccano i movimenti virtuali e fisici che anelano un fermo al sistema di vita occidentale improntato sulla produttivita’ parossistica, sulla socialita’ limitata dall’eccesso dei social, dai rapporti sessuali ed amorosi fugaci, dall’estrema lontananza da Dio e del suo indiretto dileggio, promossi da fette immani di media, intellettuali, testi accademici e personalita’. Per i cattolici il suicidio si conferma peccato e consentire ad un giovane di porlo in atto, si mostra come una iattura nonche’ la sconfitta della avanzatissima societa’ occidentale, con il corollario di deontologia, umanita’ e religiosita’.
Vocabolario
*Slatentizzati: posti fuori.
*Immani: grandi.
*Fugaci: non duraturi ne’ forti.