Non ci vuole un perito di economia per constatare quanto la bolla speculativa che ha travolto il mondo dal lontano 2007 sia agganciata in modo ineluttabile al sistema debitorio che tutt’ora avvolge il sistema finanziario globale. Il problema mastodontico, in fase di crisi o di stabilità geopolitica e geoeconomica, non è il debito pubblico o privato, bensì la effettiva privatizzazione degli istituti di credito, che nell’emissione monetaria rispondono a dogmi e logiche privatistiche; allorchè i titoli di stato non vengono garantiti dallo stato nazionale mediante la sua banca centrale, il debito pubblico diviene un problema crescente, che confluisce in bolle speculative e terremoti finanziari che totalmente si scaricano sulla collettività; in Italia lo stato sempre meno “pubblico”oggi , con una sua banca centrale e le banche pubbliche ad essa connesse, garantiva i titoli pubblici invenduti ed emetteva moneta allorchè essa scarseggiava nel circuito produttivo sociale. Con l’emissione monetaria la moneta si svalutava, per poi rivalutarsi appena la società che vi era collegata, tornava ad arricchirsi, producendo ed acquistando; non appena il tessuto sociale si strutturava in termini di opulenza e depositi bancari, la moneta si rivalutava in automatico, nonché in un gioco simmetrico che oggi è abrogato per l’Italia. Tale meccanismo di crescita comune e stabilità finanziaria, rendeva relativi perfino gli “odiosi” debiti privati, che venivano garantiti solo dai cittadini, ma pagati in ogni circostanza, in quanto nella peggiore delle ipotesi i cittadini trovavano un lavoro la cui retribuzione era dignitosa, garantiva il doppio del potere di acquisto odierno-c’era la lira-così i crediti inesigibili che oggi affossano le banche e terrorizzano l’economia, erano uno spauracchio di fatto quasi impossibile da scorgere-.
Se lo stato non fosse privatizzato perfino nelle sue banche centrali, in Italia come altrove le macrocrisi che travolgono e frantumano il lavoro, i cittadini e le imprese, sarebbero un problema solo teorico, ma non realizzabile. Se inoltre lo stato potesse emettere moneta senza indebitarsi con nessuno, la crescita sarebbe una tendenza irreversibile, a doppia cifra, in Italia come in Europa, e in maniera superiore in generale, alla Cina ed altre nazioni analoghe. Per i fautori della privatizzazione assoluta di tutte le funzioni statali va replicato il fatto che le privatizzazioni sarebbero possibili qualora i privati accettassero l’onere di fare le veci dello stato sul piano della concretizzazione dei principi costituzionali, il che sarebbe controproducente nell’ottica di redditività privata. Ecco dunque la motivazione che ha fatto esimere i Benetton, dall’operare reiterati ed ingenti investimenti di manutenzione dello stesso ponte Morandi. Così come gli stati, forti di una moneta sovrana agganciata all’oro oppure agli accordi di Bretton Wood’s, non possono fallire e pertanto operare manutenzione ed investimenti all’infinito e senza debiti, gli attori economici privati, per quanto facoltosi possono fallire o depotenziarsi, ma anche impoverirsi. Dunque le privatizzazioni avveniristiche debbono per forza poggiarsi su principi di bassa percentuale azionaria, lassi di tempo non prolungati come oggi di cinquant’anni e più, e soprattutto affidarsi a famiglie eterogenee, in modo da diffondere ricchezza vera e lecita. Tuttavia i privati che intendono ottenere servizi pubblici nelle loro mani, debbono per forza sottostare a proscrizioni di investimento paritarie a quelle di uno stato che non opera a fini maggioritari di lucro. Detto ciò, in relazione al gruppo Benetton orbato di Autostrade, l’auspicio è non affidare più tale lucrosa e strategica infrastruttura ad operatori mercantilistici, e soprattutto forestieri. Infatti i costi pubblici affidati ai privati sfociano in aggravi di spesa per la collettività.