L’Italia e’ stata espulsa, dal punto di vista accademico, dalla bacheca dei paesi con la presenza delle migliori universita’ del mondo. A rendere meno fosco il quadro generale c’è però un indicatore nel quale siamo addirittura primi in Europa: quello della produttività scientifica. Nessun altro Paese ha così tanti atenei nella top 100: 25 in tutto (con due atenei nella top 20: il Politecnico di Bari che si piazza addirittura al 13esimo posto e quello di Torino al 17esimo), cioè quasi il doppio dei secondi arrivati, francesi e tedeschi, che ne hanno in tutto 13. Un dato non sorprendente, nel senso che da sempre i ricercatori italiani sono bravissimi a fare tanto con poco, vista la scarsità di fondi a disposizione. Solo per farsi un’idea, noi spendiamo per ricerca e sviluppo l’1,5 per cento del Pil contro il 2,2 dei francesi (il cui prodotto interno lordo è una volta e mezza del nostro) e il 3,1 dei tedeschi (che, quanto a Pil, ci doppiano). Ma quantità non vuol dire sempre anche qualità: talvolta i ricercatori italiani sono spinti a pubblicare anche più del dovuto dalla logica «publish or perish» dei concorsi. E infatti sul piano dell’impatto della ricerca – misurato dalle citazioni nelle riviste di settore – ci sono ancora ampi margini di miglioramento. Diversi atenei ottengono risultati molto lusinghieri anche in altri indicatori. Il Politecnico di Milano è 20esimo quanto a reputazione dei suoi laureati presso i datori di lavoro e 29esimo per reputazione accademica. Nel riconoscimento da parte dei colleghi delle altre università la Sapienza di Roma è 17esima e Bologna 18 esima.

Svettano invece le solite inglesi – Oxford (prima), Cambridge, l’Imperial College e Ucl (che si piazzano rispettivamente al terzo, quarto e quinto posto) – più altre otto nelle prime venti posizioni, ma anche i politecnici svizzeri, che spuntano un secondo posto con l’Eth di Zurigo ed il nono con l’Epfl di Losanna , tre università tedesche, due olandesi e una francese (l’Université Paris Science & Lettres).
E’ questo il dato complessivo che si ricava dal primo Qs Europe Rankings 2024, una classifica incentrata su 688 università di 42 Paesi (oltre agli europei in senso stretto, sono inclusi anche la Turchia, l’Armenia, l’Azerbaigian e la Georgia). Il miglior risultato, come già nella classifica mondiale, lo ottiene il PoliMi. Seguono: la Sapienza (65esima), Bologna (78esima) e Padova (89esimo). Tutte le altre si posizionano fuori dalla top 100.
Va rimarcato il fatto che, dal punto di vista della didattica applicata, della reputazione internazionale e dai professionisti che ne emergono, la prestigiosa e piu’ antica universita’ pubblica del mondo, ovvero la Federico II di Napoli, si pone nelle posizioni vicine al vertice, sebbene non fosse stata menzionata o premiata, quest’anno. Ancora l’universita’ della Calabria, nell’obblivione generalizzata, si riconferma polo tecnologico di risonanza mondiale, al punto da attrarre inusitati investimenti da plutocrati dells Sylicon Valley, alla ricerca spasmodica di creativita’ ed eccellenza inerenti i nuovi paradigma digitali. Il tutto mentre a Napoli Apple si appresta ad implementare gli investimenti motivando la scelta, con il fatto che ormai non puo’ eludere la perizia e le innovazioni che le consentono le informatici patrocinati dalla Federico II in quel di San Giovanni.