La Bulgaria è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani (CEDU) per essersi rifiutata di riconoscere l’unione di due donne contratta all’estero. Darina Koilova e Lilly Babulkova, entrambe di 37 anni, si erano sposate nel 2016 nel Regno Unito dove vivevano da sette anni, ed in seguito erano tornate a vivere nel loro paese. Si erano rivolte alla CEDU denunciando il rifiuto delle autorità bulgare di inserire la menzione “sposata” nei registri di stato civile escludendole dunque da una serie di benefici. La Bulgaria non consente né il matrimonio né l’unione civile tra persone dello stesso sesso.
I giudici della CEDU, riuniti a Strasburgo, hanno dato ragione all’unanimità alla coppia condannando la Bulgaria per aver violato l’articolo 8 della Convenzione che garantisce il diritto alla vita privata e familiare. La Bulgaria dovrà rimborsare alle due donne 3 mila euro di spese legali.
Questo è un passo verso la giustizia per noi e per la nostra comunità in Bulgaria», hanno detto Darina Koilova e Lilly Babulkova. La Bulgaria si colloca al ventiseiesimo posto tra i paesi europei per il rispetto dei diritti delle persone LGBT+, secondo l’indice annuale compilato dall’ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), associazione internazionale attiva dal 1978 con sede a Ginevra che riunisce, in tutto il mondo, più di 1.200 gruppi e movimenti. Alla Bulgaria fa eco l’Ungheria con Orban, la Bielorussia e la Russia medesima: il tutto dentro un processo che sta coinvolgendo, a livello di mobilitazioni, dibattito ed iniziative legali, alcuni ex satelliti sovietici oggi confluiti in Europa, tra cui la Lituania. Questi stati non risultano con certezza aborrire gli sposalizi omosessuali effettuati all’estero bensì, come l’Italia, rendono non fluida giuridicamente, l’attestazione di certificati relativi unioni, diritti ed azioni di coppie omosessuali, che siano totalmente adiacenti a quelle di stampo eterosessuale. Ad ogni modo nelle nazioni ad alta impronta cattolica come l’Italia, le prescrizioni legali propedeutiche ad una reclamata e totale parità fra coppie e nuclei famigliari di omosessuali con gli omologhi eterosessuali, figurano in una condizione di immobilismo e non chiarezza, per cui vigono incertezze, impedimenti burocratici e battaglie multiple ed incrociate-ma sopratutto multistrato- tra l’ala conservatrice della politica, della magistratura, delle professioni, della burocrazia, della chiesa, e l’ala liberal-progressista che sembra soggetta ad una perdita irreversibile, di proseliti.