Questo film candidato agli Oscar 2020 finalmente rende giustizia, dal punto di vista artistico, alla questione degli sposalizi, del rapporto con i figli, con il lavoro, con il mondo del teatro reali: lo fa, questa storia di matrimonio tradotta con il titolo inglese, appunto dalla prospettiva registica hollywoodiana come mai cosi’ drammatica, pur senza lutti o depressioni di sorta.

L’interpretazione di Scarlett Johansonn in A marriage story, ben ricalca il bovarismo comune per coloro che hanno anteceduto la mera passione, la genitorialita’, rispetto alla carriera, alle ambizioni, alle differenze economiche e ambientali; in modo da rischiarare una situazione comune a pletore di persone confinate, con i loro problemi economici e professionali, a lottare per vedere la prole, per scongiurare i divorzi, per salvare il proprio lavoro, oggi quanto piu’ nobile proporzionalmente meno pagato.

Il mondo dell’arte teatrale qui si fonde dapprima, per poi scontrarsi, con quella televisiva e cinematografica che la domina, la corrompe, ed il conseguente dilemma tra scrittura e regia contro la recitazione e la notorieta’, si dipana in un nuovo equilibrio che scontenta un po’ tutti.

Ecco che in A marriage story emergeranno i problemi economici che si rifletteranno in quelli familiari perche’ oggi l’arte e’ dominata dalla visibilita’ nonche’ da una fin troppo banale semplicita’. Ma sono i figli a dirigere le redini delle scelte dei genitori responsabili per cui in un mondo in fase di stallo economico, il genitore amorevole e’ obbligato a plasmarsi sulla moda del benessere economico che domina anche l’inconscio dei figli: questo e’ l’unico problema urgente da risolvere e ben palesato con questa opera artistica…

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